Quando in un libro come L’erba dagli zoccoli si raccolgono storie accadute in regioni d’Italia diverse e lontane tra loro, e in luoghi dell’entroterra delle cosiddette aree interne, speso definiti impropriamente ‘borghi” – sempre più in bilico tra “restanza” e “strategia dell’abbandono” – luoghi che spesso erano già emarginati e disagiati al tempo di quelle storie – parlo qui delle lotte contadine degli anni del dopoguerra, nelle quali oltre al contrasto dei padroni e dei loro caporali spesso armati, e non si limitavano a mostrarle le armi, e oltre alle forze dell’ordine che andavano a sgombrarli con la forza quando occupavano le terre o facevano scioperi a rovescio, alla fine se ci riuscivano, il compito più arduo per quei contadini era proprio quello di addomesticare quelle terre conquistate a fatica – può capitare, appunto, in questo periodo presente di eventi meteo sempre più estremi e più frequenti per una crisi climatica che dopo anni di accumulo inizia a manifestare i propri effetti, capita appunto di vedere questi stessi luoghi toccati direttamente e tutti insieme da questi eventi.
Ieri pomeriggio eravamo presso Fano, a Vita da Pacos una piccola oasi di natura e fauna tra le nostre colline, per un reading sulle lotte contadine, e introducendo la storia di Maria Margotti accaduta nel 1949 nei pressi di Argenta, ricordavo che in questo momento tra Conselice e Argenta s’è formata una palude, un piccolo lago che non si svuota da solo, ancora lì a due settimane dall’alluvione in Emilia Romagna. Campagne svuotate a suo tempo dall’acqua anche grazie alla fatica non umana degli scariolanti, ancora oggi una rete di canali in apparenza addomesticata ma basta uno sguardo, quando ci vai in mezzo a quei campi, per capire che devi sempre tenerla sotto controllo. Anche l’episodio tragico di Maria avvenne mentre le donne erano scese dalla bicicletta e si affrettavano in fila su una passerella per attraversare un canale nei pressi del Reno.
Non sapevo invece, quando sono passato ad un altro racconto presente nel libro e nel reading che riguarda le nostre Marche terra di mezzadri, e citavo Samuele Panichi di Pianello di Cagli, che nello stesso istante proprio dalle parti di Cagli stava venendo giù una bomba d’acqua. Lì da noi, a poche decine di km, avevamo solo notato il cielo scurirsi un poco, ma era quasi un sollievo, una pausa al caldo di poco prima. Nel libro le storie dei mezzadri sono messe in scena da tre anziani che le narrano ad un ragazzo mentre sono in treno e partono dalla stazione di Fabriano, e non sapevo che anche lì nello stesso istante stava venendo giù una bomba d’acqua, che causava problemi alla stessa ferrovia, fermando i treni. Bombe d’acqua qua e là, in un normale week end di fine settimana.
Quando poi sono rientrato a casa ho visto le immagini dell’alluvione a Matera, fiumi d’acqua incanalati nelle strade, e ieri sera al reading avevamo raccontato anche dei contadini di Montescaglioso e delle poesie di Rocco Scotellaro e dell’omaggio a lui e ai contadini lucani realizzato da Carlo Levi con quel magnifico quadro esposto a Palazzo Lanfranchi, nel cuore di Matera.
Capita. È un mondo popolato da infinite storie, le nostre, quello ora inondato da acqua e fango. Se un libro parla dell’Italia tutta, e queste cose accadono purtroppo nell’Italia presente, non sono eventi lontani questi effetti della crisi climatica, o scene da vedere in televisione seduti in salotto quando toccano ad altri, e invece ci inseguono ovunque e ci toccano, accadono a noi.
A reading concluso i ragazzi che ci hanno seguiti con pazienza ma anche interesse fino alla fine, ci hanno pure chiesto di raccontare loro qualcosa anche dello sciopero a rovescio del Cormor nella bassa friulana – non riusciamo mai a inserire nella scaletta del reading tutte le storie del libro – e così ne abbiamo parlato: in questo caso lo sciopero a rovescio era proprio per prosciugare una zona paludosa, costruendo da soli un canale, accadeva nel maggio del 1950; nella prima parte del racconto, nel libro, ricostruisco un po’ la storia di quel fiume e cito un’alluvione storica, nella seconda metà di settembre del 1920, negli stessi giorni in cui in Italia giunge alla fine la grande occupazione delle fabbriche, si smobilita, da quel momento in poi sarà una rititata sociale continua, per oltre un ventennio: “L’inondazione del Cormor avviene in quei giorni ed è la più terribile che si ricordi; inizia in prossimità di San Daniele, sulla collina morenica a nord delle risorgive, e si porta via tutto ciò che trova. Nei punti di strettoia l’acqua sale addirittura a cinque metri di altezza. Via i campi, via le colture strappate ai sassi, via le fatiche seminate lì giorno per giorno per fertilizzare quella terra di sassi. Via le case e le strade, e via anche tante persone. Quelle che non muoiono subito, emigreranno. È difficile resistere alla Storia e alla Natura quando si alleano.” Già. Storia e Natura. Sono sempre accadute queste cose, lo sappiamo, e a maggior ragione dovremmo temerle oggi, che abbiamo contribuito ad aumentarne l’intensità e la frequenza.
Storia e Natura. Ne parlo anche in un altra parte del libro, nel racconto dedicato a Vittorio Veronesi, accadde appena una settimana prima dello sciopero del Cormor, però a Porto Mantovano. Vittorio e il suo amico Nerino stanno andando verso il luogo dove li attendono con i fucili per un agguato, ma in quel momento è tutto ancora tranquillo, è notte fonda e chiacchierano di ciò che sta accadendo in Italia, e della condizione sempre precaria dei contadini, ai quali basta un imprevisto di troppo per ritrovarsi senza nulla: “Sempre gli stessi contadini ma in ogni luogo con i propri problemi, le piccole conquiste vere o presunte da difendere, e sempre pronti a girovagare sparsi, anche in bicicletta, biciclettati li chiamavano, in cerca d’altro quando non c’è altro da fare, basta un fiume che straripa o una stagione più avara a rovinarti e spingerti verso un padrone che ha voglia di usarti, retrocesso ad avventizio. La Natura, ma chi l’ha detto che è neutra, è come la Storia, non colpisce mai tutti allo stesso modo.” Sfollati di ieri e di oggi.
“Le mutate di cielo” le ho trovate invece nei libri dell’antropologo Ernesto de Martino (in particolare, le ho trovate nel libro La terra de rimorso che guarda caso a gennaio di quest’anno è stato di nuovo ripubblicato, per la sua attualità ancora oggi); stavo tornando indietro dall’Arneo, dopo la mia prima visita ai quei luoghi di taranta, di roghi di biciclette e di lotte contadine: “Alle mie spalle, appena oltre l’Arneo, il cielo è diventato nero, si sta avvicinando un temporale, avverto quasi l’elettricità dell’aria mentre i colori del mare e delle case continuano a luccicare decisi sotto la luce radente del sole, ancora non coperto. Il banco di nubi basso sull’Arneo mi fa venire in mente le “mutate di cielo” citate da Ernesto De Martino, il ricorrente miraggio per cui gli abitanti della costa vedevano a specchio nelle nuvole l’avvicinarsi della flotta turca. Il pericolo in arrivo anticipato dal suo riflesso nel cielo, salvare se stessi confidando nel miraggio.” Il racconto dell’Arneo è l’ultimo del libro, e proprio con il temporale in arrivo si chiude così il libro: “Cadono le prime gocce di pioggia”, un po’ come in quel film di Milcho Manchesvki, Prima della pioggia.
Il mio libro di racconti di lotte contadine l’avevo impostato volutamente in questo modo, avevo scelto apposta storie diverse accadute in luoghi d’Italia lontani e diversi ma tutte nello stesso periodo, per ricercarne meglio gli intrecci che potevano legarle, non erano singole rivolte di paese isolate tra loro, e ne avevo trovati davvero tanti di legami, stupendomi io stesso, scorgendo la loro unitarietà in una visione d’insieme che li rendeva un unico racconto. E ne avevo scelto solo alcune di queste storie, ma erano davvero molte e molte di più. Anche questi episodi odierni – e anche qui sono molti di più di quelli citati in queste poche righe – di una crisi climatica oramai avviata dovremmo poterli vedere, se abbiamo voglia di guardare davvero, non come accidenti casuali che colpiscono isolatamente qua e là ma ci riuniscono tutti. E ricordandoci che la Natura non è neutra e non colpisce mai tutti allo stesso modo.