10-17 marzo 1950 (dagli atti del Senato)

Per il mio libro L’erba dagli zoccoli, racconti sulle lotte contadine nel dopoguerra, ho scelto alcuni episodi accaduti nello stesso periodo tra il ’49 e il ’50, in diverse regioni d’Italia, per meglio evidenziare, con la “contemporaneità”, che non si trattava di singole vicende isolate bensì di un movimento unico, di “un serio tentativo di riunificare il paese dal basso” come spesso mi capita di commentare durante i reading di presentazione.
Non mi fu difficile trovare gli episodi da raccontare, al contrario fu difficile sceglierne solo alcuni perché ne trovai  veramente tanti, così escogitai una forma narrativa – in ogni racconto c’è sempre qualcuno che racconta, una nonna ai nipoti, degli anziani a un ragazzo e così via, e come accade sempre quando si racconta si divaga e si inseriscono altre storie – che mi permetteva sì di focalizzare alcuni episodi ma al tempo stesso di rendere conto del contesto e di citare anche altre storie.
C’erano poi alcuni periodi ancora più intensi di altri. Uno di questi è la settimana dal 10 al 17 marzo 1950, di cui vi propongo la ricostruzione del Senatore Menotti nella seduta del Senato del 31 maggio 1950, quando prende la parola per criticare la politica del Ministro degli Interni Scelba (il 18 marzo entrarono in vigore nuove misure straordinarie, una specie di odierni decreti sicurezza), e più in particolare Menotti interviene (lo aveva già fatto poche ore dopo il fatto) sull’ennesima uccisione di un bracciante, il sindacalista e partigiano Vittorio Veronesi il 17 maggio 1950 a Bancole di Porto Mantovano. A Veronesi dedico nel mio libro il racconto “Prendete quella canaglia”.
Tra gli altri racconti del libro c’è anche una storia di quella settimana di marzo, ed è quella dell’occupazione delle terre a Bisacquino il 10 marzo, quando il segretario della Camera del lavoro di Corleone era Pio La Torre, andato a sostituire Placido Rizzotto, ucciso esattamente due anni prima il 10 marzo 1948. Poi nel mio libro c’è anche un altra storia di quel mese, lo sciopero a rovescio di Lentella, appena alcuni giorni dopo il 21 marzo, e anche in quel racconto c’è un personaggio – “il narratore”, che è una donna ed è ispirata in modo diretto ad un persona vera – la quale mentre aspetta l’arrivo della corriera in paese, legge da alcune copie dell’Unità le cronache degli ultimi giorni, le stesse di cui parla il Senatore Menotti (e sono così tante le cose di quei giorni che lo stesso Menotti non ce la fa a ricordarle tutte, mi sono accorto che qualcuna l’ha saltata), e sono storie che descrivono bene il contesto in cui vengono adottate anche le nuove misure repressive il 18 marzo.
(La foto sopra utilizzata è tratta dal sito “Rosso di sera Mantova”; sono i funerali di Vittorio Veronesi, si vedono nella foto: Giovanni Pesce, Silvano Montanari, Arturo Colombi, Clarenzo Menotti, Nella Morellino)

Dagli Atti del Senato del 31 maggio uno stralcio dell’intervento del Senatore Menotti:
«A dimostrare che cosa faccia in politica interna questo Governo voglio prendere alcuni esempi che riguardano un più breve periodo, non 4 mesi o 5, ma una settimana, fatti ordinari eli tutti i giorni. È la settimana che va dal 10 al 17 marzo.
II 10 marzo oltre 300 carabinieri aggrediscono a Bisacquino, in Sicilia, un gruppo di contadini che ritornavano da un feuelo occupato: alcuni feriti gravi e 40 lavoratori arrestati.
L’11 marzo a Petralia (Palermo) i carabinieri attaccano un gruppo eli contadini che avevano occu-pato terre incolte: 18 contadini feriti, un moribondo, 33 arrestati. Nella provincia eli Avellino violenze poliziesche contro i contadini, 24 dei quali vengono arrestati.
Ad Ortanova (Foggia) 30 lavoratori sono arrestati perchè protestavano contro la parzialità del collocatore eli Stato.
A San Pietro (Casale) e a Galliera (Bologna), scio-pero di protesta contro tentativi fascisti eli or-ganizzare il crumiraggio: 19 lavoratori arrestati.
Il 12 marzo, a Gallipoli, i disoccupati iniziano dei lavori campestri: 5 arresti;
nell’alta Irpinia (Avellino) i contadini arrestati salgono a 70;
il 16 marzo a Treviso, Vignanello e Bari forti reazioni popolari alle aperte manifestazioni fasciste elei Movimento sociale italiano. La polizia interviene violentemente a spalleggiare i fascisti percuotendo gli antifascisti.
Il 14 marzo a Porto Marghera i lavoratori in agitazione perché da 5 mesi non erano stati pagati, vengono caricati e mitragliati dalla polizia. Bilancio: 7 operai feriti, 2 in pericolo di vita.
Nella provincia di Nuoro contadini e pastori scendono in lotta: 295 vengono arrestati.
Il 15 marzo a Torre dei Passeri (Pescara), i disoccupati iniziano lavori di costruzione e di miglioramento delle strade. Vengono aggrediti dalla «Celere» con bombe lacrimogene e manganelli ; vengono arrestati 131 lavoratori e parecchi sono i feriti.
A Palmi (Reggio Calabria), la polizia aggredisce un gruppo di braccianti. Alcuni sono feriti, altri arrestati.
Il 16 marzo in provincia di Cagliari e in altre zone della Sardegna, i contadini senzaterra, disoccupati quasi l’intero anno, lavorano le terre incolte, ma la polizia ca- rica violentemente i lavoratori e ne arresta 300.
In Calabria si allarga l’agitazione dei contadini per le terre incolte. La polizia opera numerosi arresti di lavoratori.
Il 17 marzo a Nicastro (Catanzaro) 200 carabinieri aggrediscono 500 contadini che con le loro mogli erano andati a lavorare sui campi. Ne vengono feriti 9 dopo essere stati caricati alla baionetta. Numerosi gli arrestati fra i quali il segretario della Federterra provinciale.

Sono oltre 1000 arresti operati in 7 giorni. È un primato senza precedenti, senza contare i feriti, più o meno gravi, ed i contusi. Un ben triste primato, signori! Si può solo dire che il Ministro Scelba lavora sodo in questo campo.

Qual è il carattere dei movimenti repressi? Sono braccianti e contadini poveri che vogliono lavorare le terre incolte, sono operai che difendono il loro lavoro, come a Porto Marghera, sono antifascisti che lottano contri i rigurgiti fascisti e contro i neo-fascisti. In tutti questi casi il Governo usa la violenza contro i lavoratori, contadini ed operai.
Cosa farebbero di più, cosa farebbero di diverso di quello che fa l’onorevole Scelba se per esempio al Ministero dell’Interno fossero Rodinò o Costa? Farebbero lo stesso, con molta probabilità. La politica del Governo è dunque quella dei grossi agrari e dei grandi industriali. È una politica che sostiene il privilegio e la conservazione sociale, ed i fatti citati lo dimostrano. E una politica che incoraggia i rigurgiti fascisti ed il movimento neo-fascista. Anche quando il Governo dice di voler colpire i neofascisti, di fatto, come nelle sue recenti ordinanze del 18 marzo, ha di mira le sinistre.
Lo spirito dell’onorevole Scelba è del resto chiaramente rivelato dagli emendamenti, che non abbiamo dimenticato e che sarebbe un torto dimenticare, alla legge di pubblica sicurezza presentati alla Camera e poi sospesi o fatti rientrare. Essi sono rivelatori. Vi citerò qualche passaggio. «Il Prefetto può richiedere ai dirigenti e ai rappresentanti delle associazioni od enti che svolgono in tutto o in parte la propria attività dentro il territorio della Provincia, la comunicazione di copia dell’atto costitutivo e dello Statuto, nonché notizie sulla loro organizzazione ed attività».

Evidentemente un articolo di legge così formulato, con le conseguenze cui porterebbe, rivela una politica di tipo fascista.

Un po’ di rassegna stampa

Alcuni articoli usciti negli ultimi giorni su alcuni giornali online, i prime due riguardano la serata allo Spazio Autogestito Arvultura di giovedì 6 luglio, pubblicati nell’ordine su Vivere Senigallia e Senigallia Notizie;  il secondo è stato pubblicato su CentroPagina di Jesi, in promozione della serata alla Biblioteca la Fornace di Moie in programma per giovedì 13 luglio; il quarto pubblicato su il Corriere del Conero, in promozione della serata di mercoledì 12 luglio a Castelfidardo; il quinto su Vivere Jesi, sempre in promozione della serata alla Biblioteca La Fornace di Moie.

È il racconto della politica attiva

103«Un filo sottile e resistente accomuna il destino dei contadini di ogni terra. Attraverso undici quadri narrativi l’Autore racconta, ricostruisce, restituisce le vicende dei lavoratori della terra, organizzati e consapevoli del loro ruolo nella società, dello sfruttamento, dei diritti che una nuova carta costituzionale attribuisce loro. Ma solo la costituzione non basta: occorre prendere coscienza e imparare sulla propria pelle la fatica per liberarsi davvero, per avere la dignità dovuta. Libro anomalo: non è un saggio storico, non è un romanzo, non è solo una raccolta di memorie. È il racconto della politica attiva e viva fatta di uomini e donne, mentre il mondo contadino tramonta in una Italia sempre più lanciata verso il Boom Economico, verso l’alienazione delle fabbriche.»

101Ho apprezzato molto questa motivazione, con cui la giuria (non vorrei mai fare parte di giurie) aveva a suo tempo scelto di inserire L’erba dagli zoccoli tra le opere finaliste del terzo premio letterario PAROLE DI TERRA, la cui giornata conclusiva si è svolta sabato scorso 14 gennaio a Savignone, in valle Scrivia, appena qualche chilometro sopra Genova. Una serata interessante, di incontri e conoscenze che come sempre arricchiscono, con gli altri scrittori finalisti o che hanno avuto una menzione speciale per il loro lavoro, con il promotore di questo premio l’editore Massimo Angelini, e con l’ospite della serata il regista Giorgio Diritti (“Il vento fa il suo giro”, “L’uomo che verrà”, “Un giorno devi andare”), che ha presentato un reportage, ma reportage è riduttivo, diciamo pure film, di memorie e testimonianze, dedicato ai ragazzi che in altri tempi si davano “in affitto”. Tempi che magari in altre forme continuano a riprodursi purtroppo anche oggi attorno a noi. “Eravamo rassegnati a tutto” dice a noi una di queste voci di allora, e a me pare  che quel rassegnati a tutto non sia una dichiarazione di resa ma una rivendicazione.

102Il primo premio è stato poi assegnato a Cristina Meneguzzo (nella foto con la targa appena ricevuta, insieme agli altri scrittori partecipanti e ad alcuni degli organizzatori), presente con l’inedito “Il pane degli angeli”, che sarà pubblicato da Pentagora. Chi vuole, può seguire le future attività sul sito di Pentagora o sulla pagina FB dell’associazione Parole di Terra.

 

 

L’erba dagli zoccoli in audio e video

aaaRaccolgo qui un po’ di documentazione audio e video raccolta in quest’ultimo mese di dicembre, con cui abbiamo chiuso un intenso trimestre di presentazioni.
Si tratta di due interviste. La prima di David del Bufalo, a me e a Silvano Staffolani, per MiniRadioWeb, realizzata il 4 dicembre a Roma, presso la Città dell’Altra Economia mentre aspettavamo l’inizio del nostro reading concerto all’evento “Il futuro non è scritto”, in conclusione del Festival delle Terre, le cui proiezioni dei documentari in gara erano già iniziate il giovedì precedente al Cinema Trevi. Di questa intervista è disponibile anche il video.

bbbLa seconda è stata realizzata da Claudio Siepi per Radio Incredibile appena dieci giorni dopo, il 14 dicembre, nel suo studio, un angolo attrezzato ricavato nel garage del suo condominio, e ho scoperto così da dove trasmettono queste radio, praticamente da ogni luogo possibile, da ogni crepa del mondo, come fili d’erba capaci di spuntare ovunque si apra un varco.

Nel corso di questi mesi sono riuscito a raccogliere e archiviare su you tube anche altra documentazione video, da alcune delle serate di presentazione che ho avuto; se volete guardarle basta scorrere la pagina delle Presentazioni e cercarle; sono in ordine cronologico, così si può anche seguire l’evoluzione dalla prima uscita (in marzo a Lentella), con gli amici musicisti che di volta in volta mi accompagnavano (passando da Chivasso, Torino, il Salento) improvvisando con me il duetto in lettura e musica, e regalandomi sempre belle emozioni, fino alla trasformazione graduale in reading concerto, iniziata a partire più o meno da settembre insieme a Silvano Staffolani. E ora, insieme a Silvano, stiamo iniziando a ri-coinvolgere di nuovo quegli stessi amici, per condividere con loro le nuove canzoni da L’erba dagli zoccoli che nel frattempo sono nate (e che a dire il vero, stanno continuando a nascere).nuovacop

 

 

 

 

Bologna, Vag 61: incontro con Wu Ming 2 e Giovanni Mottura

Venerdì 7 ottobre 2016 con L’Erba dagli zoccoli al Vag 61, in via Paolo Fabbri a Bologna, nella prima parte reading concerto insieme a Silvano Staffolani  (video) e nella seconda conversazione con Wu Ming 2 e con Giovanni Mottura. Una serata stimolante con le storie delle lotte contadine nel dopoguerra; ieri sera in scaletta le canzoni nate durante questo tour di presentazioni e ispirate alle stesse storie del libro –  testi miei e musiche di Silvano – sono salite a due. Nei giorni precedenti era stata pubblicata sul sito di GIAP questa conversazione con Wu Ming 2.

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WU MING 2: «Le lotte contadine della prima metà del Novecento sembrano ormai vicende di un passato lontanissimo, sterilizzate in formule da sussidiario o epigrammi di addetti alla nostalgia. Eppure, mai come negli ultimi anni si è tornati a parlare di agricoltura: di come coltivare la terra e goderne i frutti senza passare per lo schiavismo, il caporalato, la grande distribuzione organizzata, lo sperpero di energie e combustibili fossili, l’annullamento dei rapporti umani, la prigionia dei semi e il cibo elitario. In Italia nascono cooperative di braccianti e le terre incolte vengono occupate come non accadeva… dal tempo delle lotte contadine.
vag11Lotte che tornano alla mente, come termine di paragone, anche in altri settori, primo fra tutti quello della logistica, dove la violenza padronale, la guerra tra poveri, le condizioni di lavoro, i ricatti e le forme di lotta fanno pensare… al tempo delle lotte contadine.

Ma che succedeva, di preciso, in quel tempo? E quanto indietro bisogna tornare, per ritrovarlo?
Tullio Bugari ha scelto di puntare su una lingua letteraria e sulla forma del racconto breve, per riscattare dall’oblio undici episodi. Undici quadri dell’ultima, grande battaglia combattuta nelle campagne d’Italia, prima che queste – secondo un’espressione abusata – si spopolassero, dando inizio alla fuga verso le metropoli.
È il periodo che va dal 1943 all’immediato Dopoguerra, con la particolarità che il “Dopoguerra”, per l’Italia, inizia in momenti diversi a seconda della latitudine, e mentre oltre la Linea Gotica ancora si combatteva, il Sud liberato aveva un ministro dell’Agricoltura di idee comuniste, il calabrese Fausto Gullo.
L’erba dagli zoccoli racconta l’accanimento con cui i latifondisti meridionali s’impegnarono a chiudere quella brevissima stagione di riforme agrarie, e poi le lotte mezzadrili delle regioni centrali, gli scioperi a rovescio, le occupazioni, i picchetti dei braccianti in Val Padana.
Ci è sembrato un libro importante, che merita di essere letto e conosciuto. Per questo abbiamo organizzato, venerdì 7 ottobre, una serata di presentazione al VAG 61 di Bologna, con letture, musiche, canzoni d’epoca e gli interventi di Giovanni Mottura, di Wu Ming 2 e dell’autore. Nel frattempo, per riscaldare i motori, Wu Ming 2 ha rivolto a Tullio Bugari un pugno di domande, che pubblichiamo qui sotto con le relative risposte.»


WM2: Vorrei capire meglio quali archivi hai consultato, se uno in particolare o un tipo in particolare, o se invece hai mescolato fonti di vario genere (orali, giornali, saggi, romanzi). Quanto è stato lungo e complicato il lavoro di ricerca?

vag1T.B.:La mia non è una vera ricerca storica, la definerei una ricostruzione a fini divulgativi.
Ho consultato varie fonti, integrandole. Dai libri di storia “generale” ai dibattiti sulla riforma agraria o sulle migrazioni interne, per avere un’idea del contesto in cui si collocano le varie storie, e poi per entrare nel dettaglio dei singoli episodi ho sfogliato i giornali dell’epoca, per focalizzare le persone, i fatti e le dinamiche e anche per osservare i punti di vista talora opposti, utilizzati per descriverli, a seconda delle parti in causa. In diversi casi ho trovato ricostruzioni specifiche, di storici locali, o cronache, oppure tesi di laurea, o ho visionato video testimonianze e documentari. Esistono tanti lavori che si potrebbero collegare insieme. Oltre ai libri di storia ho prestato attenzione anche alla letteratura, ogni volta che ho trovato romanzi, o poesie, che consentono un tipo di contatto diverso con la realtà e mi hanno aiutato a dare una forma narrativa alle storie, e a tentare di rievocarne il fondo poetico. Molto interessante e utile è stato anche il lavoro di tanti fotografi attivi in quegli anni, così importanti per la fotografia sociale. Tra i lavori consultati non potevano mancare da un lato le poesie e i romanzi di Rocco Scotellaro e dall’altro le ricerche di Ernesto De Martino. Poi ho cercato di visitare i luoghi, per averne almeno un’immagine diretta. In qualche caso sono riuscito a parlare con testimoni, oppure con persone che prima di me avevano fatto ricerche sul campo. Non è stato un lavoro complicato o lungo, ma forse dovremmo intenderci sul significato di complicato o di lunghezza. Ci ho lavorato un paio di anni primati consegnare all’editore, ma non lo considero un lavoro chiuso.

WM2: Come hai scelto i soggetti dei diversi racconti? Li avevi già in mente e sei andato a botta sicura, oppure hai raccolto materiali su tanti episodi e poi ha selezionato questi undici per un motivo preciso? Che quadro volevi restituire e in che senso lo ritieni più o meno completo?

T.B.: All’inizio è stato più complicato. Mi sono trovato di fronte una storia immensa, che non accade in un momento accidentale ma vive dentro un arco di tempo enorme, e si compone di tantissimi episodi diversi e in tanti luoghi diversi, e i significati sono depositati proprio nei loro intrecci. Quindi ho cercato un escamotage che mi aiutasse a dare giustizia di tanta complessità e al tempo stesso ne restituisse anche una visione unitaria, non come astrazione bensì proprio nella consapevolezza, magari istintiva o antropologica, che dovevano averne gli stessi contadini.
Allora ho iniziato a concentrarmi su episodi che accadevano simultaneamente in regioni diverse, con i contadini che si tenevano informati, perché quando si riunivano, chi sapeva leggere leggeva i giornali, e poi perché c’erano gli scioperi generali, perché esistevano reti di solidarietà tra contadini di regioni diverse, come l’accoglienza dei bambini i cui genitori finivano in galera. Ma ero ancora bloccato e disperso tra storie diverse. Poi quasi per caso sono capitato in un paesino del sud dell’Abruzzo, Lentella, con un’interessante storia di uno sciopero a rovescio e due vittime, a cui seguì uno sciopero generale nazionale di 48 ore, il più grande del genere mai proclamato. Ho visitato il paese, conosciuto testimoni, trovato ricostruzioni già raccolte, e da qui sono partito, cercando le storie che accadevano nelle altre regioni in quegli stessi giorni e mesi, ricercando ogni volta anche i nessi che potevano collegare tra loro i racconti che iniziavo a scrivere. Storie a cavallo tra il 1949 e il 1950, l’ultima grade stagione delle lotte, a ridosso del boom economico e della grande fuga dalle campagne. E quando ho dovuto ugualmente selezionarle, perché erano tante, ho trovato il modo di citarle.

WM2: Come hai lavorato sulle fonti per ottenere racconti letterari? Rispetto alla “fedeltà ai fatti“, ti sei attenuto a una regola fissa, oppure ci sono racconti più vicini alle fonti e altri che se ne distanziano con maggiore fantasia? E dal punto di vista linguistico, come hai lavorato per differenziare le varie ambientazioni e restituire la distanza – anche dialettale e culturale – tra i vari protagonisti?

vag2T.B.: La fedeltà ai fatti è sempre totale, salvo eventuali errori in cui posso essere caduto dato che non sempre le ricostruzioni che ho consultato coincidono in tutti i particolari. Non ho romanzato sui fatti, anche se uso una forma narrativa e se faccio dire apertamente a uno dei personaggi, mentre si rivolge ai nipoti, “Vi racconto la verità con la fantasia”, e poi aggiunge, “perché sono storie che rischiano d’essere dimenticate e solo la fantasia può mantenerle vive”. I nomi delle persone, dei luoghi, le date, sono sempre veri. A questi aggiungo talvolta dei personaggi in più, oppure sono io stesso da ragazzo che entro in scena, per ricreare situazioni in cui quelle storie vengono narrate a distanza di qualche anno. Oppure cerco di immaginare ciò che prova il singolo personaggio. Inoltre, ho cercato sempre di non raccontare dall’interno, cioè da ‘romanzo storico’, ho creato invece sempre situazioni in cui quelle storie vengono ricordate o raccontate dopo, in una situazione di narrazione, proprio per sottolineare l’importanza di raccontare, per mantenere viva l’identità, e allora ecco una nonna che racconta ai nipoti, un ragazzo che incontra dei personaggi in treno, degli adolescenti che vanno a fare un’intervista. La narrazione come dialogo e trasmissione di storie. Ho cercato di inserire in ciascun racconto almeno qualche espressione dialettale, per dare conto anche delle diversità, nel senso delle identità. E ho cercato anche di usare dei ritmi linguistici diversi per arricchire tali diversità. In un racconto ho usato esclusivamente dialoghi, tra più persone, perché mi sembrava il modo migliore per restituire la coralità che si esprimeva durante un’occupazione di terre, migliaia di contadini che non erano una massa ma tanti singole persone insieme, ciascuna con le sue aspettative. In altri ho cercato di descrivere ciò che era appena accaduto attraverso gli occhi dei compagni e delle compagne della vittima, che devono già iniziare a rielaborare il lutto.

WM2: Pur nelle differenze di luoghi e di situazioni, qual è l’elemento che accomuna queste storie e le rende parte di un’unica vicenda?

vag14T.B.: Nel dopoguerra il movimento contadino trova a disposizione le strutture organizzative della sinistra, maturate dentro la Resistenza, le fa proprie ed è subito organizzato e consapevole d’essere un unico grande movimento. Una consapevolezza innanzitutto individuale, questa è la convinzione a cui sono giunto. Una consapevolezza maturata, credo, anche dalle esperienze degli anni precedenti: c’era stata la guerra, molti erano stati soldati su fronti lontani, avevano conosciuto altra gente, anche nelle prigioni o al confino oppure in montagna per quelli saliti con i partigiani, e poi molti avevano parenti oltre oceano che scrivevano lettere o erano stati già migranti essi stessi. E quando tornano a casa, qualche idea in testa su come fare per cambiare le cose, iniziano ad averla. Fu una grande occasione per ricostruire l’unità del paese dal basso. Se poi ciò che seguì, la fuga dalle campagne, si debba definire una sconfitta, credo sia una questione complessa. A giudicare dalle lotte operaie di appena un decennio dopo, nelle quali si ritrovano come protagoniste molte di quelle stesse persone, potrebbe sembrare di no, almeno sotto certi punti vista.

WM2: Quali sono i riferimenti letterari e romanzeschi di questo tuo lavoro? Quali autori italiani, secondo te, sono riusciti a raccontare le lotte contadine degli anni Quaranta? Ti pare un’epopea sulla quale la letteratura ha lavorato bene, ha aiutato la memoria, oppure no?

vag3T.B.: Mi rendo conto di non essere in grado di rispondere in modo immediato. Ho riletto o consultato con occhi diversi molti autori e altri ne ho scoperti grazie a questo lavoro. Citerei innanzitutto Rocco Scotellaro, che ne fu anche protagonista, e che nel mio libro cito ampiamente nel racconto dedicato alla Basilicata e a Giuseppe Novello, il bracciante caduto a Montescaglioso a cui Scotellaro dedica una bella poesia, che ho apprezzato ancora di più passeggiando per gli stessi vicoli di Montescaglioso. Ho riletto poi Il sogno di una cosa di Pasolini, La meglio gioventù, ma anche autori non italiani, come lo Steinbeck di Furore, un romanzo che poggia su solidi reportage, o per tornare dalle nostre parti mi vengono in mente Rina Durante di Malapianta o Corrado Alvaro di Gente in Aspromonte, oppure i lavori di Rigoni Stern e soprattutto l’enorme lavoro di raccolta di Nuto Revelli, Il popolo che manca. Ci sono molti autori, molti anche meno conosciuti, oppure lavori che purtroppo non sono più in circolazione. Ho trovato anche qualche piccolo editore che si interessa oggi di letteratura rurale, ad esempio Pentagora, in grado di riproporre storie interessanti. Quando vado fuori regione cerco sempre una libreria che abbia un angolo dedicato agli autori e agli editori locali, meglio ancora se c’è pure un vero libraio da cui farsi consigliare. Sarebbe interessante fare una rassegna di questi lavori.

blogWM2: Oggi si sentono spesso citare le lotte contadine della prima metà del secolo scorso in riferimento alle agitazioni sindacali dei facchini e del settore della logistica. Si dice che le due lotte hanno punti di somiglianza: la violenza della reazione padronale, la guerra tra poveri, i metodi della protesta (picchetti, scioperi, occupazioni di terre). Quanto credi sia sostenibile questo paragone? E più in generale: quale pensi sia stata l’eredità delle lotte che racconti? Cosa ci hanno trasmesso, cosa sono riuscite a cambiare e cos’hanno da trasmettere, ancora, a un Paese dove riprendono le occupazioni di terra e il mondo della produzione agricola è attraversato da enormi contraddizioni e vecchi/nuovi conflitti?

T.B.: Il 15 settembre, quando ho letto della morte a Piacenza di Abd Elsalam Ahmed Eldanf, ho capito subito che si trattava della stessa identica dinamica di tanti episodi delle lotte contadine del dopoguerra, e l’ho anche scritto, e ne abbiamo anche discusso alcuni giorni fa presentando il libro in una libreria di Recanati. Mi ricorda la stessa dinamica della strage di Melissa, o delle morti di Lentella, di Montescaglioso o quella del bracciante mantovano Vittorio Veronesi. Da un lato una lotta che non ha più vie d’uscita, non è una normale vertenza perché i margini di sfruttamento sono stati compressi troppo e non è possibile rassegnarsi, e dall’altro una reazione che è anche sopraffazione fisica immediata. Ma non solo la dinamica dell’episodio, anche quella dei settori mi sembra abbia delle analogie. Come l’agricoltura di allora, che era alle soglie di una grande trasformazione capitalistica in un nuovo sistema dell’economia mondiale che ne avrebbe poi stravolto il modo di essere e la società, oggi la logistica internazionale si sta avviando ad una grave crisi che stravolgerà assetti e aziende, e già da anni si regge solo sulla compressione sempre maggiore degli addetti. Più immediate ancora, le analogie con l’oggi, se guardiamo la stessa agricoltura, tra multinazionali che si accrescono – sono in atto nuove inquietanti fusioni anche in questi giorni – e gli equilibri di una filiera di mercato che si regge sul lavoro schiavistico di manodopera spesso straniera, e dall’altro tanti piccoli nuovi esperimenti di agricoltura alternativa e di nuove competenze professionali, spesso giovani, che tentano di costruirsi un mercato alternativo, tra gruppi di acquisto, nuovi stili di vita, nuovi mercatini che crescono, o nuove nicchie di mercato come vengono definite. Credo che, seppure in forme nuove, e spesso senza neppure un rapporto di continuità con il passato, si tratti pur sempre della stessa sfida. È come se le esperienze delle lotte di allora producano ancora effetti carsici, che viviamo senza esserne del tutto consapevoli.

 

“Non so se l’ho mai vista la luce” (recensione)

edbRecensione di Enzo di Brango, pubblicata su Le Monde diplomatique in edicola con il manifesto del 15 giugno 2016.

«Tullio Bugari sembra possedere la serena rassegnazione dei contadini. La predisposizione e l’abitudine alla sconfitta del quarto stato, è forse per questo che sciorina parole calme e nei mille piccoli drammi che racconta non eccede mai in violenza verbale.
Lo avevamo già apprezzato per il suo viaggio in bicicletta lungo la linea gotica a raccogliere le ultime testimonianze di chi tedeschi e fascisti li aveva conosciuti da vicino, nel momento più terribile della loro parabola in declino, quando, come belve mai appagate di sangue altrui, perpetrarono i loro efferati ultimi eccidi.
Anche allora i racconti scivolavano, tra una pedalata e l’altra, tra una sosta all’osteria ed uno sguardo al panorama, con delicatezza davanti all’occhio attento del lettore. E così, prima di dare corpo agli undici quadri che narrano storie di un mondo rurale oramai perduto nel mito, ai confini delle identità, ci racconta frammenti della sua infanzia, anch’essa divorata dai ritmi bestiali del capitalismo ai tempi del liberismo:
«Non so se l’ho mai vista la luce, cerco d’immaginarla. M’hanno raccontato che corre dentro i fili di ferro che gli uomini appendono sui pali di legno, e brucia le mani a toccarli. L’ultimo palo lo piantano oggi, nell’angolo del campo là sulla sinistra, oltre il recinto di canne che delimita il cortile. Immagino già il filo teso tra gli alberi fino alla nostra casa. Mia sorella ha comprato cinque lampadine, non le avevo mai viste, sembrano ovi di vetro».
L’ultima stagione delle secolari lotte contadine, tra gli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, prima del grande e definitivo esodo dalle campagne, prima delle grandi migrazioni, è qui narrata con storie vere, alcune quasi sopite nella memoria, altre ancora vive e resistenti all’oblio.
C’è la mondina-partigiana Maria Margotti, falciata a soli 34 anni da una raffica di mitra sparata da uno dei tanti carabinieri che, nel nostro paese, ufficialmente addetti all’ordine pubblico vengono in realtà spesso utilizzati in chiave repressiva delle lotte.
E c’è, viva e palpitante come dovrebbe essere nel ricordo di ogni cittadino, la ricostruzione della prima strage contadina perpetrata nel Meridione, quella di Portella della Ginestra. Con la crudezza delle fucilate, mafiose e politiche nello stesso tempo, che violentano i corpi ma anche gli angoli di campagna, l’odore della terra, la rugiada sulle violette nei fossi, il fiato dei campi.
Tra le storie, tutte meritevoli di attenta lettura, va segnalata anche quella del poeta contadino, di Rocco Scotellaro, primo sindaco socialista di Tricarico, in un episodio che la dice lunga sui sistemi repressivi del potere. È l’8 febbraio del 1950 e Rocco, quel sindaco sovversivo che si è permesso di occupare le terre dei potenti con i contadini al seguito, va in galera. Uscirà 45 giorni dopo, appena in tempo per piangere altri contadini uccisi «per ordine pubblico», a San Severo, ad Avezzano, a Lentella.»