Montescaglioso, 14 dicembre 2019, “La Rivolta della Dignità”. “La memoria è un campo di battaglia” ricordava Mimmo Sammartino, citando il filosofo Remo Bodei, nell’introdurre la tavola rotonda del pomeriggio, terza parte degli eventi preparati per questa giornata dedicata alla Dignità: “La Rivolta della Dignità”, promossa dalla Cgil di Matera, per commemorare il 70° delle occupazioni delle terre a Montescaglioso e in Lucania, nel giorno esatto dei fatti che accaddero in paese quella notte, tra il 13 e il 14 del 1949, quando i Carabinieri del battaglione di Bari circondarono il paese, oscurato, perché avevano tolto l’illuminazione pubblica e privata, e guidati dai soliti spioni di turno avevano sfondato le porte di casa di quelli che consideravano i leader delle occupazioni. Molti ne arrestarono e portarono in caserma, mentre il resto del paese, svegliato dai colpi e dalle urla, si riversava per le vie buie, cercando di orientarsi, non dentro i loro vicoli che avrebbero potuto percorrere a occhi chiusi, ma nel perché e nel significato di quanto gli stava accadendo addosso. Molti non avevano avuto nemmeno il tempo di vestirsi per bene, e fuori era freddo e l’aria era bagnata per la densa umidità della notte, come per la pioggia, e l’acciottolato di pietra era viscido e scivoloso. Un carabiniere con la motocicletta scivolò e cadde davanti al muro delle persone, e nel rialzarsi iniziò a sparare, nel buio quasi si vedevano i lampi degli spari, almeno così parve, e intanto Giuseppe Novello si accasciava a terra, vicino all’Arco d’ajamm, ferito a morte, la prima a soccorrerlo e a disperarsi vicino a lui comprendendone la gravità, fu sua moglie Vincenza Castria.
Mi ha sempre colpito la loro età. Giuseppe aveva 32 anni, li avrebbe compiuti il 18 dicembre ma morì il giorno prima, dopo tre giorni di agonia. Vincenza era di qualche anno più giovane. A casa il loro figlio Filippo non aveva ancora compiuto quattro anni.
Questa mattina – il 14 dicembre di oggi – Filippo ha aperto questa lunga giornata – lunga per la densità di significati ma non per il senso del tempo, che è scorso via in un attimo per noi immersi dentro – con la sua testimonianza. I ragazzi lo aspettavano. Filippo vive da anni a Chivasso, nel nord, e qui in paese evidentemente i ragazzi non lo avevano mai incontrato e quindi non riuscivano a distinguerlo tra la folla delle persone che si salutavano e si preparavano agli eventi, e poi Filippo in quel momento era nella sala accanto, intervistato per il telegiornale regionale e così diversi ragazzi chiedevano a me “Sei Filippo?”
La somiglianza fisica è pari a zero, ma l’età, beh insomma, con la mia svolazzante chioma bianca non era escluso che potessi anche essere io. Così dapprima gliel’ho indicato da lontano il vero Filippo e poi quando è rientrato, “ecco è lui Filippo”, e tutti attorno a chiedergli qualcosa. Ho notato nei ragazzi – che erano per la maggior parte vestiti in costume, pronti a rievocare con la loro drammatizzazione quei lontani eventi – molta immediatezza e spontaneità, nessun ingessamento di quelli che precedono talvolta le “recite scolastiche” (ma questa non era una recita) o euforie da giorno di scuola saltato. No, avevano tutti addosso, l’avvertivano da soli, quella sensazione di soddisfazione del trovarsi nel luogo giusto, quello della condivisione, e così Filippo era “il loro testimone”, non dei sermoni ma della vicinanza fisica e diretta, della “presenza”. E Filippo stesso lo ha detto, in apertura, ringraziando i ragazzi e le loro insegnanti, le quali il senso dell’identità presente in questa storia condivisa e da condividere, che non è mai qualcosa di scontato, evidentemente sanno come affrontarlo.
Poi i ragazzi hanno iniziato la drammatizzazione di quei lontani eventi, la loro Dignità, e lo hanno fatto in modo corale, come la folla del paese durante quella lontana notte in strada, con frasi che si rincorrono di bocca in bocca e salgono nell’aria, e la ricostruzione di quello scivolare del carabiniere sull’acciotolato ed estrarre la pistola, e Giuseppe che si affloscia a terra e tutti si raccolgono a soccorrerlo. E poi i giorni successivi in paese, il giornalista che intervista Mariannina Menzano, una delle leader di riferimento di quelle lotte, e poi il ricordo anche di altre protagoniste quali Anna Avena, Nunzia Suglia, e gli uomini, Miraglia, Rossetti, Castellanetta, Padula e altri ancora. E poi il finale, “finalmente ci fu un po’ di giustizia”, con il paese che declama in coro “giustizia”.
Io li chiamo ragazzi, come mia abitutidine, ma alcuni mi sembravano davvero piccoli, tutti delle classi elementari. Noi eravamo stati invitati per leggere alcune storie e far ascoltare alcune canzoni dopo la loro rappresentazione ma quando li abbiamo visti ci siamo integrati con loro, direttamente, e così a questo punto sono entrati in scena Silvano e Lorenzo a suonare e cantare il nostro marchigiano Pirulì, il momento atteso della festa, e tutti i ragazzi a ballare in girotondo. Il ragazzo che era vestito da Carabiniere, e gli era toccato di “sparare” a Giuseppe, ha subito colto l’occasione per dire “io ballo con lui”, come uno spontaneo e simbolico gesto di scusa.
Poi abbiamo fatto ascoltare loro anche qualcuna delle nostre letture e canzoni, iniziando dal popolare canto dei mietitori, sempre marchigiano, di quel canto che ovunque nelle campagne italiane nasceva coralmente, tra le fatiche del lavoro e i momenti che si riusciva a strappare per la festa, dove anche le serenate d’amore più dolci non dimenticano mai del tutto la densità dell’intera vita.
Dovevamo iniziare così, peché la settimana prima l’avevamo fatta ascoltare agli studenti (delle medie) della scuola Guido Novello di Ravenna, (l’occasione era stata l’anniversario della Liberazione della città, celebrato da Anpi, Cgil e Scuola parlando delle lotte contadine e del movimento anticaporalato) e avevamo promesso di portare i loro saluti ai ragazi di Montescaglioso, anche questo come simbolo dell’unità di tutto il paese, nord e sud, come per scambiarsi le rispettive storie delle lotte contadine e bracciantili. E quindi, di seguito, anche la canzone “Corre il treno”, con la storia dei treni della felicità, un’esperienza che allora anche Filippo, bambino di quattro anni, aveva vissuto.
Mi sto dilungando molto ma avrei un’infinità di cose, la giornata da raccontare è ancora lunga. La sessione del pomeriggio è stata aperta dai ragazzi delle scuole medie, anche loro in modo corale, in reading, leggendo insieme a più voci vari riflessioni e testimonianze, molto attuali e non solo rievocative. Avevano stampato per l’occasione, e distribuito, un loro giornale, “Parola ai Giovani”: “La Dignità non è negoziabile”, il titolo dell’articolo al centro, e attorno:
“La terra a pezzi. I braccianti danno vita a lotte di innalzare il livello dei diritti di tutti”;
“Il Futuro remoto. Questo tipo di vita non si sopporta. Sarà una cultura della rassegnazione?”;
“Quali diritti? I braccianti CONNAZIONALI o STRANIERI restano lavoratori invisibili”.
No, questa non è una recita scolastica, è invece l’attualizzazione immediata, capace di riportare la Storia e le storie e le memorie in mezzo a noi che siamo qui ora. E chi poteva farlo meglio di questi ragazzi nati dopo il duemila?
Mi ha colpito al centro della pagina del loro giornale questa sintesi di tanti dibattiti teorici: “Gli OCCHI leggono la storia vissuta. il CUORE piange di emozioni amare. la MENTE progetta un futuro migliore.”
Che cosa aggiungere di più? A questo punto della serata, prima di passare alla terza parte della giornata, la tavola rotonda, Eustachio Nicoletti – segretario della Cgil di Matera e promotore di tutto questo evento – modificando la scaletta degli interventi, mi avvicina e mi dice: “Adesso iniziate voi, prima della tavola rotonda!” “Noi???” Io sono una persona che controllo sempre molto bene le emozioni ma questa volta la sentivo forte addosso, con tutta quella sala gremita di persone davanti a me, soprattutto per l’onore davvero grande per noi che venivamo da fuori, da un’altra regione, di raccogliere tutto ciò che i ragazzi avevano proposto e rilanciarlo agli oratori, già pronti, con in testa il Sindaco a fare gli onori di casa.
Dico a Silvano e Lorenzo, sotto voce, “preparate Scagliosa”, e poi introduco, ringrazio, dico qualcosa, faccio del mio meglio, e soprattutto mi corre in aiuto un brano di Rocco Scotellaro – che ho citato nel mio libro L’erba dagli zoccoli, nel racconto “Ti porterò gli odori della terra” nel quale narro queste storie di Lucania – di quando Rocco chiuso in prigione a Matera con una falsa accusa, legge alla sera ai compagni di cella il libro di Carlo Levi “Cristo s’è fermato a Eboli”, e in prigione incontra i contadini di Montescaglioso, “i più stanchi di tutto il carcere, con gli occhi dilatati: un loro compagno era rimasto ucciso…”, e poi un frammento della poesia che Rocco Scotellaro dedicò a Vincenza Castria, ricordando Giuseppe Novello. E poi SCAGLIOSA.
In questi giorni Silvano e Lorenzo l’hanno suonata e cantata diverse volte Scagliosa, che così ha iniziato a ronzarci nelle orecchie come un inno. La mattina dopo, la domenica, il 15 dicembre che è anche l’anniversario della morte di Scotellaro nel 1953, siamo andati a Palazzo Lanfranchi davanti al quadro di Carlo Levi “Lucania ’61”, io per leggere per intero quella pagina del libro e loro a suonarla e cantarla, registrando tutto con la telecamera, per portarci via questo ricordo.
Sulla tavola rotonda che è seguita non mi dilungo, devo però dire che ho ascoltato tutti con piacere – da Pietro Simonetti del tavolo Anticaporalato del Ministero degli Interni, ad Angelo Summa segreteraio regionale dell aCgil, Giovanni Checchinato, vescovo di San Severo di Foggia, promotore di un’iniziativa per dare diginità ai bracciani costretti a vivere nelle baraccopoli; Ivana Galli, della segretria nazionale della Cgil.
L’attenzione è stata sempre elevata nella sala. Certamente, si parlava di una pagina di storia del loro paese, e quindi della loro identità, ma non è mai scontato, occorre anche che chi prende la parola sappia entrare in sintonia con questo sentire, e avviare il proprio intervento come un momento di conversazione, essere in tema, con parole concrete. Oramai, data anche l’età, ho davvero una lunga esperienza di queste situazioni, verso le quali vi assicuro che non sono mai accomodante. Invece qui le parole scorrevano giuste, fluenti e insieme ricche, sui tanti i temi toccati.
Conduceva la tavola rotonda lo scrittore Mimmo Sammartino, che in apertura ha citato Remo Bodei, “la memoria è un campo di battaglia”, e ha mantenuto questo filo conduttore sul tema, complesso, della memoria, un filo capace di tessere legami tra le diverse voci che così possono parlarsi tra loro. Oltre a condurre, Mimmo insieme a noi si è anche alternato ai relatori. Abbiamo fatto un intervento ciascuno. Mimmo ha letto due brani dai suoi lavori, il primo lo conoscevo già, tratto dal suo romanzo “Il paese dei segreti addii”, il brano del cantastorie che si annuncia “Attenziò, battagliò” e poi canta la storia “de li cafoni” e di Giuseppe Novello. Noi invece abbiamo proposto la canzone per la libertà di Ciro “Giggino” Candido, sindaco arresttaoi ingiustamente e di cui i compaesani chiedevano la libertà, affinché tornasse al suo posto. Un canto popolare che non conoscevamo e ci aveva proposto in questi ultimi giorni Franco Candido: Silvano e Lorenzo lo hanno provato in auto, mentre scendevamo dalle Marche (è stato un viaggio intenso, fin da quando abbiamo acceso il motore dell’auto).
Poi nella pausa successiva abbiamo proposto Fragalà, che è dedicata alla vicenda dei braccianti di Melissa, una storia vicina a questa di Montescaglioso e accaduta allora appena un mese e mezzo prima; è anche una canzone dedicata alla memoria, e ci ha consentito di allacciarci a quel filo tessuto da Mimmo: due strofe della canzone dicono così: “la memoria è come un sasso, quando ti colpisce non puoi trattenerla, con gli altri devi dividerla se vuoi usarne la forza. La memoria siamo noi in questa stanza, ce la portiamo dentro, ogni giorno a rovistarci, non dovremmo mai farlo da soli.”
In chiusura siamo stati colti nuovamente da sorpresa. Pensavamo che l’applauso che aveva accompagnato le ultime parole di Ivana Galli fosse anche l’applauso di chiusura, e invece Mimmo ed Eustachio mi hanno fatto cenno di intervenire. In effetti tutti i tempi degli interventi si erano incastrati e susseguiti in modo perfetto e dunque non era nemmeno tardi. Mi alzo e dico a Silvano e Lorenzo “preparate SOGNI ALLA DERIVA“, una canzone con la quale spesso ci capita di aprire i reading e non chiuderli, forse perché non ci sembra così corale ma sembra più adatta a un discorso intimo, individuale, è un migrante che racconta, ma è anche dedicata ai tutti i braccianti e migranti di ieri e di oggi. Sì, di oggi. Tutta la giornata “La Rivolta della Dignità” dedicata al settantennio delle lotte contadine ha avuto questo spirito di attualizzazione, dalle drammatizzazioni dei ragazzi e poi in tutti gli interventi della tavola rotonda, e Ivana Galli aveva appena dedicato buona parte delle sue riflessioni, e incitamenti, al tema del caporalato odierno, ricordando, come poco prima di lei aveva fatto il vescovo Checchinato, le condizioni di negazione di ogni diginità a cui è sottoposto il “lavoro oggi”, e ancora di più tra questi i braccianti che vengono da altri paesi.
“Sogni alla deriva” è una canzone nata proprio pensando a questo, perché quando alcuni anni fa andai a Nardò per visitare le terre dell’Arneo, teatro di grandi lotte contadine nel dopoguerra, scoprii lo sciopero dei braccianti africani raccoglitori di cocomeri a Nardò, e da quello sciopero si mise in moto il movimento che portò all’approvazione della legge contro il caporalato. Un movimento che “attraversò” anche la storia di Paola Clemente, morta senza essere soccorsa mentre lavorava nelle campagne di Andria, alla ripulitura dei grappoli d’uva prima della maturazione definitiva e delle vendemmia. Così abbiamo concluso con “Sogni alla deriva”, la canzone di un migrante – di qualsiasi terra e di qualsiasi tempo – che parla idealmente con il suo amore e la sua vita lasciata al paese di origine, strappata via da lui che ora sente come un buco vuoto dentro di sè, mentre è chino sulla terra “un poco schiavo un poco bestia, senza peso né zavorra” e chiede aiuto “per chiudere questi buchi.”
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“L’erba dagli zoccoli. L’altra Resistenza, racconti di una lotta contadina” è stato pubblicato nel 2016 e prsentato in questi anni attraverso le letture e le canzoni, che sono nate per commentare queste storie e si possono ascoltare anche attraverso il sito Canzoni contro la guerra.
Il nostro tour a Montescaglioso e Matera è stato davvero emozionante e ricco; la giornata di Montescaglioso è stata preceduta il venerdì da un nostro spettacolo all’Osteria Malatesta di Matera, accompagnati dal nostro amico musicista di Montemurro Sergio Santalucia (insieme al quale anche Filippo che era con noi ha scambiato in amicizia qualche duetto alla chitarra). Venerdì sera abbiamo ricordato insieme a questa di Montescaglioso anche un’altra importante storia il cui anniversario cade sempre in questi giorni, e cioè il cinquantennio della strage di piazza Fontana e la storia di Giuseppe Pinelli, al quale abbiamo dedicato una nostra canzone, Vi estas Pino, composta attraverso le parole di sua moglie Licia.
Poi domenica mattina abbiamo salutato Matera, prima con la visita a Palazzo Lanfranchi e sosta davanti al quadro di Carlo Levi nel giorno dell’anniversario della morte di Rocco Scotellaro, il 15 dicembre 1953 (la lettura del brano l’ho fatta “scendendo giù”, come Levi ritrae Scotellaro giù a parlare in mezzo alla sua gente), e dopo l’omaggio a Scotellaro, un saluto alla città dei Sassi con uno stornello alla nostra maniera.
Questa invevece al mattino di sabato, la storia delle lotte per la terra a Montescaglioso secondo i ragazzi: