La Dignità non è negoziabile

Montescaglioso, 14 dicembre 2019, “La Rivolta della Dignità”.  “La memoria è un campo di battaglia” ricordava Mimmo Sammartino, citando il filosofo Remo Bodei, nell’introdurre la tavola rotonda del pomeriggio, terza parte degli eventi preparati per questa giornata dedicata alla Dignità: “La Rivolta della Dignità”, promossa dalla Cgil di Matera, per commemorare il 70° delle occupazioni delle terre a Montescaglioso e in Lucania, nel giorno esatto dei fatti che accaddero in paese quella notte, tra il 13 e il 14 del 1949, quando i Carabinieri del battaglione di Bari circondarono il paese, oscurato, perché avevano tolto l’illuminazione pubblica e privata, e guidati dai soliti spioni di turno avevano sfondato le porte di casa di quelli che consideravano i leader delle occupazioni. Molti ne arrestarono e portarono in caserma, mentre il resto del paese, svegliato dai colpi e dalle urla, si riversava per le vie buie, cercando di orientarsi, non dentro i loro vicoli che avrebbero potuto percorrere a occhi chiusi, ma nel perché e nel significato di quanto gli stava accadendo addosso. Molti non avevano avuto nemmeno il tempo di vestirsi per bene, e fuori era freddo e l’aria era bagnata per la densa umidità della notte, come per la pioggia, e l’acciottolato di pietra era viscido e scivoloso. Un carabiniere con la motocicletta scivolò e cadde davanti al muro delle persone, e nel rialzarsi iniziò a sparare, nel buio quasi si vedevano i lampi degli spari, almeno così parve, e intanto Giuseppe Novello si accasciava a terra, vicino all’Arco d’ajamm, ferito a morte, la prima a soccorrerlo e a disperarsi vicino a lui comprendendone la gravità, fu sua moglie Vincenza Castria.

Mi ha sempre colpito la loro età. Giuseppe aveva 32 anni, li avrebbe compiuti il 18 dicembre ma morì il giorno prima, dopo tre giorni di agonia. Vincenza era di qualche anno più giovane. A casa il loro figlio Filippo non aveva ancora compiuto quattro anni.

 Questa mattina – il 14 dicembre di oggi – Filippo ha aperto questa lunga giornata – lunga per la densità di significati ma non per il senso del tempo, che è scorso via in un attimo per noi immersi dentro – con la sua testimonianza. I ragazzi lo aspettavano. Filippo vive da anni a Chivasso, nel nord, e qui in paese evidentemente i ragazzi non lo avevano mai incontrato e quindi non riuscivano a distinguerlo tra la folla delle persone che si salutavano e si preparavano agli eventi, e poi Filippo in quel momento era nella sala accanto, intervistato per il telegiornale regionale e così diversi ragazzi chiedevano a me “Sei Filippo?”
La somiglianza fisica è pari a zero, ma l’età, beh insomma, con la mia svolazzante chioma bianca non era escluso che potessi anche essere io. Così dapprima gliel’ho indicato da lontano il vero Filippo e poi quando è rientrato, “ecco è lui Filippo”, e tutti attorno a chiedergli qualcosa. Ho notato nei ragazzi – che erano per la maggior parte vestiti in costume, pronti a rievocare con la loro drammatizzazione quei lontani eventi – molta immediatezza e spontaneità, nessun ingessamento di quelli che precedono talvolta le “recite scolastiche” (ma questa non era una recita) o euforie da giorno di scuola saltato. No, avevano tutti addosso, l’avvertivano da soli, quella sensazione di soddisfazione del trovarsi nel luogo giusto, quello della condivisione, e così Filippo era “il loro testimone”, non dei sermoni ma della vicinanza fisica e diretta, della “presenza”. E Filippo stesso lo ha detto, in apertura, ringraziando i ragazzi e le loro insegnanti, le quali il senso dell’identità presente in questa storia condivisa e da condividere, che non è mai qualcosa di scontato, evidentemente sanno come affrontarlo.

Poi i ragazzi hanno iniziato la drammatizzazione di quei lontani eventi, la loro Dignità, e lo hanno fatto in modo corale, come la folla del paese durante quella lontana notte in strada, con frasi che si rincorrono di bocca in bocca e salgono nell’aria, e la ricostruzione di quello scivolare del carabiniere sull’acciotolato ed estrarre la pistola, e Giuseppe che si affloscia a terra e tutti si raccolgono a soccorrerlo. E poi i giorni successivi in paese, il giornalista che intervista Mariannina Menzano, una delle leader di riferimento di quelle lotte, e poi il ricordo anche di altre protagoniste quali Anna Avena, Nunzia Suglia, e gli uomini, Miraglia, Rossetti, Castellanetta, Padula e altri ancora. E poi il finale, “finalmente ci fu un po’ di giustizia”, con il paese che declama in coro “giustizia”.

Io li chiamo ragazzi, come mia abitutidine, ma alcuni mi sembravano davvero piccoli, tutti delle classi elementari. Noi eravamo stati invitati per leggere alcune storie e far ascoltare alcune canzoni dopo la loro rappresentazione ma quando li abbiamo visti ci siamo integrati con loro, direttamente, e così a questo punto sono entrati in scena Silvano e Lorenzo a suonare e cantare il nostro marchigiano Pirulì, il momento atteso della festa, e tutti i ragazzi a ballare in girotondo. Il ragazzo che era vestito da Carabiniere, e gli era toccato di “sparare” a Giuseppe, ha subito colto l’occasione per dire “io ballo con lui”, come uno spontaneo e simbolico gesto di scusa.

Poi  abbiamo fatto ascoltare loro anche qualcuna delle nostre letture e canzoni, iniziando dal popolare canto dei mietitori, sempre marchigiano, di quel canto che ovunque nelle campagne italiane nasceva coralmente, tra le fatiche del lavoro e i momenti che si riusciva a strappare per la festa, dove anche le serenate d’amore più dolci non dimenticano mai del tutto la densità dell’intera vita.
Dovevamo iniziare così, peché la settimana prima l’avevamo fatta ascoltare agli studenti (delle medie) della scuola Guido Novello di Ravenna, (l’occasione era stata l’anniversario della Liberazione della città, celebrato da Anpi, Cgil e Scuola parlando delle lotte contadine e del movimento anticaporalato) e avevamo promesso di portare i loro saluti ai ragazi di Montescaglioso,  anche questo come simbolo dell’unità di tutto il paese, nord e sud, come per scambiarsi le rispettive storie delle lotte contadine e bracciantili. E quindi, di seguito, anche la canzone “Corre il treno”, con la storia dei treni della felicità, un’esperienza che allora anche Filippo, bambino di quattro anni, aveva vissuto.

Mi sto dilungando molto ma avrei un’infinità di cose, la giornata da raccontare è ancora lunga. La sessione del pomeriggio è stata aperta dai ragazzi delle scuole medie, anche loro in modo corale, in reading, leggendo insieme a più voci vari riflessioni e testimonianze, molto attuali e non solo rievocative. Avevano stampato per l’occasione, e distribuito, un loro giornale, “Parola ai Giovani”: “La Dignità non è negoziabile”, il titolo dell’articolo al centro, e attorno:
“La terra a pezzi. I braccianti danno vita a lotte di innalzare il livello dei diritti di tutti”;
“Il Futuro remoto. Questo tipo di vita non si sopporta. Sarà una cultura della rassegnazione?”;
“Quali diritti? I braccianti CONNAZIONALI o STRANIERI restano lavoratori invisibili”.
No, questa non è una recita scolastica, è invece l’attualizzazione immediata, capace di riportare la Storia e le storie e le memorie in mezzo a noi che siamo qui ora. E chi poteva farlo meglio di questi ragazzi nati dopo il duemila?

Mi ha colpito al centro della pagina del loro giornale questa sintesi di tanti dibattiti teorici: “Gli OCCHI leggono la storia vissuta. il CUORE piange di emozioni amare. la MENTE progetta un futuro migliore.”

Che cosa aggiungere di più? A questo punto della serata, prima di passare alla terza parte della giornata, la tavola rotonda, Eustachio Nicoletti – segretario della Cgil di Matera e promotore di tutto questo evento – modificando la scaletta degli interventi, mi avvicina e mi dice: “Adesso iniziate voi, prima della tavola rotonda!” “Noi???”  Io sono una persona che controllo sempre molto bene le emozioni ma questa volta la sentivo forte addosso, con tutta quella sala gremita di persone davanti a me, soprattutto per l’onore davvero grande per noi che venivamo da fuori, da un’altra regione, di raccogliere tutto ciò che i ragazzi avevano proposto e rilanciarlo agli oratori, già pronti, con in testa il Sindaco a fare gli onori di casa.
Dico a Silvano e Lorenzo, sotto voce, “preparate Scagliosa”, e poi introduco, ringrazio, dico qualcosa, faccio del mio meglio, e soprattutto mi corre in aiuto un brano di Rocco Scotellaro – che ho citato nel mio libro L’erba dagli zoccoli, nel racconto “Ti porterò gli odori della terra” nel quale narro queste storie di Lucania – di quando Rocco chiuso in prigione a Matera con una falsa accusa, legge alla sera ai compagni di cella il libro di Carlo Levi “Cristo s’è fermato a Eboli”, e in prigione incontra i contadini di Montescaglioso, “i più stanchi di tutto il carcere, con gli occhi dilatati: un loro compagno era rimasto ucciso…”,  e poi un frammento della poesia che Rocco Scotellaro dedicò a Vincenza Castria, ricordando Giuseppe Novello. E poi SCAGLIOSA.

In questi giorni Silvano e Lorenzo l’hanno suonata e cantata diverse volte Scagliosa, che così ha iniziato a ronzarci nelle orecchie come un inno. La mattina dopo, la domenica, il 15 dicembre che è anche l’anniversario della morte di Scotellaro nel 1953, siamo andati a Palazzo Lanfranchi davanti al quadro di Carlo Levi “Lucania ’61”, io per leggere per intero quella pagina del libro e loro a suonarla e cantarla, registrando tutto con la telecamera, per portarci via questo ricordo.

Sulla tavola rotonda che è seguita non mi dilungo, devo però dire che ho ascoltato tutti con piacere – da Pietro Simonetti del tavolo Anticaporalato del Ministero degli Interni, ad Angelo Summa segreteraio regionale dell aCgil, Giovanni Checchinato, vescovo di San Severo di Foggia, promotore di un’iniziativa per dare diginità ai bracciani costretti a vivere nelle baraccopoli; Ivana Galli, della segretria nazionale della Cgil.
L’attenzione è stata sempre elevata nella sala. Certamente, si parlava di una pagina di storia del loro paese, e quindi della loro identità, ma non è mai scontato, occorre anche che chi prende la parola sappia entrare in sintonia con questo sentire, e avviare il proprio intervento come un momento di conversazione, essere in tema, con parole concrete. Oramai, data anche l’età, ho davvero una lunga esperienza di queste situazioni, verso le quali vi assicuro che non sono mai accomodante. Invece qui le parole scorrevano giuste, fluenti e insieme ricche, sui tanti i temi toccati.

Conduceva la tavola rotonda lo scrittore Mimmo Sammartino, che in apertura ha citato Remo Bodei, “la memoria è un campo di battaglia”, e ha mantenuto questo filo conduttore sul tema, complesso, della memoria, un filo capace di tessere legami tra le diverse voci che così possono parlarsi tra loro. Oltre a condurre, Mimmo insieme a noi si è anche alternato ai relatori. Abbiamo fatto un intervento ciascuno. Mimmo ha letto due brani dai suoi lavori, il primo lo conoscevo già, tratto dal suo romanzo “Il paese dei segreti addii”, il brano del cantastorie che si annuncia “Attenziò, battagliò” e poi canta la storia “de li cafoni” e di Giuseppe Novello. Noi invece abbiamo proposto la canzone per la libertà di Ciro “Giggino” Candido, sindaco arresttaoi ingiustamente e di cui i compaesani chiedevano la libertà, affinché tornasse al suo posto. Un canto popolare che non conoscevamo e ci aveva proposto in questi ultimi giorni Franco Candido: Silvano e Lorenzo lo hanno provato in auto, mentre scendevamo dalle Marche (è stato un viaggio intenso, fin da quando abbiamo acceso il motore dell’auto).

Poi nella pausa successiva abbiamo proposto Fragalà, che è dedicata alla vicenda dei braccianti di Melissa, una storia vicina a questa di Montescaglioso e accaduta allora appena un mese e mezzo prima; è anche una canzone dedicata alla memoria, e ci ha consentito di allacciarci a quel filo tessuto da Mimmo: due strofe della canzone dicono così: “la memoria è come un sasso, quando ti colpisce non puoi trattenerla, con gli altri devi dividerla se vuoi usarne la forza. La memoria siamo noi in questa stanza, ce la portiamo dentro, ogni giorno a rovistarci, non dovremmo mai farlo da soli.”

In chiusura siamo stati colti nuovamente da sorpresa. Pensavamo che l’applauso che aveva accompagnato le ultime parole di Ivana Galli fosse anche l’applauso di chiusura, e invece Mimmo ed Eustachio mi hanno fatto cenno di intervenire.  In effetti tutti i tempi degli interventi si erano incastrati e susseguiti in modo perfetto e dunque non era nemmeno tardi. Mi alzo e dico a Silvano e Lorenzo “preparate SOGNI ALLA DERIVA“, una canzone con la quale spesso ci capita di aprire i reading e non chiuderli, forse perché non ci sembra così corale ma sembra più adatta a un discorso intimo, individuale, è un migrante che racconta, ma è anche dedicata ai tutti i braccianti e migranti di ieri e di oggi. Sì, di oggi. Tutta la giornata “La Rivolta della Dignità” dedicata al settantennio delle lotte contadine ha avuto questo spirito di attualizzazione, dalle drammatizzazioni dei ragazzi e poi in tutti gli interventi della tavola rotonda, e Ivana Galli aveva appena dedicato buona parte delle sue riflessioni, e incitamenti, al tema del caporalato odierno, ricordando, come poco prima di lei aveva fatto il vescovo Checchinato, le condizioni di negazione di ogni diginità a cui è sottoposto il “lavoro oggi”, e ancora di più tra questi i braccianti che vengono da altri paesi.
“Sogni alla deriva” è una canzone nata proprio pensando a questo, perché quando alcuni anni fa andai a Nardò per visitare le terre dell’Arneo, teatro di grandi lotte contadine nel dopoguerra, scoprii lo sciopero dei braccianti africani raccoglitori di cocomeri a Nardò, e da quello sciopero si mise in moto il movimento che portò all’approvazione della legge contro il caporalato. Un movimento che “attraversò” anche la storia di Paola Clemente, morta senza essere soccorsa mentre lavorava nelle campagne di Andria, alla ripulitura dei grappoli d’uva prima della maturazione definitiva e delle vendemmia. Così abbiamo concluso con “Sogni alla deriva”, la canzone di un migrante – di qualsiasi terra e di qualsiasi tempo – che parla idealmente con il suo amore e la sua vita lasciata al paese di origine, strappata via da lui che ora sente come un buco vuoto dentro di sè, mentre è chino sulla terra “un poco schiavo un poco bestia, senza peso né zavorra” e chiede aiuto “per chiudere questi buchi.”

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“L’erba dagli zoccoli. L’altra Resistenza, racconti di una lotta contadina” è stato pubblicato nel 2016 e prsentato in questi anni attraverso le letture e le canzoni, che sono nate per commentare queste storie e si possono ascoltare anche attraverso il sito Canzoni contro la guerra.

Il nostro tour a Montescaglioso e Matera è stato davvero emozionante e ricco; la giornata di Montescaglioso è stata preceduta il venerdì da un nostro spettacolo all’Osteria Malatesta di Matera, accompagnati dal nostro amico musicista di Montemurro Sergio Santalucia (insieme al quale anche Filippo che era con noi ha scambiato in amicizia qualche duetto alla chitarra). Venerdì sera abbiamo ricordato insieme a questa di Montescaglioso anche un’altra importante storia il cui anniversario cade sempre in questi giorni, e cioè il cinquantennio della strage di piazza Fontana e la storia di Giuseppe Pinelli, al quale abbiamo dedicato una nostra canzone, Vi estas Pino, composta attraverso le parole di sua moglie Licia.

Poi domenica mattina abbiamo salutato Matera, prima con la visita a Palazzo Lanfranchi e sosta davanti al quadro di Carlo Levi nel giorno dell’anniversario della morte di Rocco Scotellaro, il 15 dicembre 1953 (la lettura del brano l’ho fatta “scendendo giù”, come Levi ritrae Scotellaro giù a parlare in mezzo alla sua gente), e dopo l’omaggio a Scotellaro, un saluto alla città dei Sassi con uno stornello alla nostra maniera.

Questa invevece al mattino di sabato, la storia delle lotte per la terra a Montescaglioso secondo i ragazzi:

 

Vi cunto e canto le lotte contadine (tour a Ravenna)

Interessante fine settimana a Ravenna con le lotte contadine, dopo un po’ di tempo che non avevamo l’occasione di dedicare un reading intero a questo tema (mai trascurato, però, perché qualche lettura e qualche canzone l’abbiamo sempre inserita nelle serate dedicate a Vi cunto e canto la libertà).

L’occasione a Ravenna è stata doppia. Nel pomeriggio del 6 con l’Anpi ‘Luigi Foschini’, la Cgil di Ravenna e la Flai Cgil nazionale, dedicando l’attenzione alle lotte di ieri e a quelle di oggi, in particolare contro il caporalato.

Anche questa volta, come in altre occasioni da queste parti, non ho potuto fare a meno di iniziare la serata ricordando il partigiano Aurelio Ricciardelli, di Casola Valsenio, che ho avuto l’occasione di conoscere sul Monte Battaglia insieme alla Staffetta della Memoria, e ascoltare da lui i suoi racconti, nei quali prima ancora delle battaglie comparivano i contadini della zona, assai poveri ma che non rinunciavano ad aiutare quei ragazzi saliti in montagna: “Senza di loro, noi non avremmo resistito una settimana”. È stato proprio grazie a queste parole di Aurelio che allora, sette anni fa, mi ero chiesto dove fossero andati a finire i contadini dopo la guerra e la Liberazione, e così avevo iniziato a cercarli, per ritrovarli nelle lotte contadine di quegli anni, condotte spesso da ex partigiani tornati ai loro campi e ai loro paesi, come ad esempio Placido Rizzotto che era stato partigiano in Carnia, oppure Vittorio Veronesi, ritornato a fare il bracciante a Porto Mantovano, vittima poi di una guardia privata durante uno sciopero il 17 maggio del ’50.

Il collegamento tra lotte contadine e Liberazione non è stato d’obbligo durante il reading soltanto perché in questi giorni, il 4 dicembre, ricorre la liberazione di Ravenna, ma anche perché le lotte contadine sono state davvero “l’altra Resistenza”, nel doppio senso che dopo la guerra, ottenuta la libertà, scritta sulla carta costituzionale, questa andava applicata e riempita di nuova giustizia sociale, e nel senso che le lotte contadine iniziarono in Sicilia appena sbarcati gli Alleati e poi hanno seguito il fronte di guerra risalendo via via verso Nord, e per molti contadini del meridione, dove non ci fu occupazione militare, la Resistenza fu questa, nelle campagne, e anche negli anni successivi quando si trovavano ad occupare i latifondi lasciati incolti (spesso gli stessi terreni sottratti dai grandi proprietari al demanio pubblico) attaccavano sulle loro bandiere gli articoli della Costituzione di cui chiedevano l’applicazione.

La scaletta di letture e canzoni che abbiamo proposto è partita dai nostri mezzadri dell’Italia Centrale (San Martino) e dal grande sciopero dei braccianti (Su alzati Maria), per scendere verso sud con gli scioperi a rovescio (Lentella) e arrivare poi alle occupazioni delle terre in Calabria (Fragalà) e in Salento (Il rogo delle biciclette). Qui abbiamo incontrato anche le lotte più recenti, quelle dei braccianti africani di Nardò e il loro sciopero del 2011, dal quale si mise in moto il movimento che ha portato alla legge per contrastare il caporalato, la linea dello sfruttamento odierno, che interessa purtroppo tutti e in tutti i settori. Ai lavoratori e ai migranti di ieri e di oggi abbiamo dedicato “Sogni alla deriva“. Poi abbiamo raccontato di Rocco Scotellaro e attraverso una sua poesia la storia di Giuseppe Novello, di cui nei prossimi giorni ricorre il 70 anniversario, fu infatti ferito a morte il 14 dicembre 1949 e poi morì tre giorni dopo. La nostra canzone dedicata è Scagliosa. Quindi siamo ritornati a Nord seguendo il percorso dei treni della felicità, quel grande movimento di solidarietà, con le famiglie dei contadini delle regioni del Centro e del Nord che accoglievano i bambini del Sud le cui famiglie erano state colpite dalla repressione contro le loro lotte: Corre il treno.

Nel corso della serata sono intervenuti anche rappresentanti della Regione, dell’Anpi e della Cgil, in particolare il segretario nazionale della Flai Cgil Davide Fiatti, che in chiusura ha ripreso questi temi, legando le memorie di ieri (ricordando ad esempio gli “scariolanti” di Ravenna organizzati in cooperativa che a fine Ottocento erano scesi a Roma per le bonifiche della zona tra Roma e Ostia) alla situazione di oggi ( ricordando anche un altro episodio determinate nell’approvazione della legge contro il caporalato, e cioè la morte il 13 luglio del 2015 di Paola Clemente, nelle campagne di Andria, tra Corato e Castel del Monte).

E come serata e occasione per ricordare le lotte contadine ci sarebbe già di che emozionarsi e considerarsi soddisfatti per la riuscita dell’incontro, e invece la mattina dopo l’emozione è stata ancora maggiore, perché invitati in una scuola media (l’istituto Guido Novello) con un centinaio di ragazzi attorno ai tredici anni. La scaletta che abbiamo seguito è stata più o meno la stessa, con pochi cambiamenti nella sequenza, ma con una modalità molto diversa, guidata in un certo senso dagli stessi ragazzi, che ci hanno seguito fin dalla prima battuta, attenti, interessati, a fare domande e ad accompagnare la musica battendo il tempo con le mani. Insomma, è stato uno scambio di energie, noi volevamo trasmettere la forza della vita nella sua pienezza di significati e i ragazzi sono stati con noi, ci piaceva sottolineare questo perché gli stessi contadini riuscivano comunque caparbiamente a ricavarsi spazi in mezzo alla fatica a cui erano sottoposti tutti giorni (a me le schiene curve dei contadini hanno sempre stimolato l’immagine che in questo modo erano loro a sorreggere l’interezza del cielo): gli spazi di libertà anche dalle difficoltà che il dover lottare comportava, e in questi spazi inserire le loro feste per trovarsi insieme, o condividere i canti che nascevano durante lo stesso lavoro, e che potevano essere sociali, con il racconto di un fatto importante, o anche più universalmente serenate d’amore. E quindi, nella scaletta, è entrato anche qualche canto popolare della nostra zona. Oppure abbiamo sottolineato come in alcune delle nostre canzoni abbiamo inserito citazioni da canti popolari dei contadini di allora, o ad esempio  il ritornello della canzone “Su alzati Maria” che contiene una citazionedi un canto delle mondine di Filo d’Argenta.

In sorpresa finale, proprio per loro ( la scuola è intestata a Guido Novello, il Signore che accolse il fuggiasco Dante nei suoi ultimi anni) non poteva mancare una stornellata sulle arie del nostro saltarello marchigiano, cantandoci sopra i versi della Divina Commedia: la sorpresa ha funzionato.
Per salutarci, come avevamo già fatto la sera prima con l’Anpi, abbiamo cantato insieme Bella Ciao. A scuola è bastato che dalla chitarra di Silvano partisse il primo accordo che automaticamente i ragazzi sono esplosi in coro cantando il primo verso. Bello. Sì, questa canzone non è più soltanto una testimonianza ma è anche una sonorità e un sentire che parte da dentro e coinvolge, come un respiro che unisce e restituisce significati.
Abbiamo ringraziato i ragazzi per la bella mattinata trascorsa insieme e porteremo il loro saluto ai loro coetanei di Montescaglioso, che incontreremo la prossima settimana per l’anniversario di Giuseppe Novello.

(sulla pagina FB altre FOTO e un breve frammento VIDEO con Bella Ciao).

Musica e spettacolo contro il caporalato

COMUNICATO STAMPA

L’erba dagli zoccoli, racconti da una lotta contadina: Nell’immediato secondo dopoguerra, negli anni tra il 1943 e il 1950, l’Italia, in particolare quella meridionale, fu interessata da un grande movimento contadino, diretto da Giuseppe Di Vittorio futuro segretario generale della CGIL.
Queste lotte contadine sembrano una vicenda lontana, di un paese agricolo ed arretrato. Eppure, i fenomeni di caporalato, di lavoro in nero e di nuovo schiavismo ripropongono in modo drammatico le stesse motivazioni che avevano spinto allora i contadini alla lotta: la terra come patrimonio di chi la lavora, la dignità e le giuste condizioni di lavoro, la democrazia e la giustizia sociale. Ravenna è stata il territorio delle lotte bracciantili e delle cooperative, terra di riscatto, idealmente vicina agli sfruttati di oggi.

La Sezione Luigi Fuschini dell’ANPI di Ravenna e CGIL intendono celebrare l’anniversario della liberazione di Ravenna ricordando le lotte contadine del secondo dopoguerra e la figura di Giuseppe Di Vittorio: Abbiamo deciso di farlo ricorrendo alle testimonianze dei protagonisti, raccolte e narrate da Tullio Bugari nel libro “L’Erba dagli zoccoli, racconti da una lotta contadina” Vydia Editore 2016: efficacemente trasposte in forma di letture musicali.

Programma:
Venerdì 6 dicembre 2019 dalle ore 17:30
Sala Celso Strocchi – Via Maggiore, 71 – RAVENNA
In apertura, intervento di Costantino Ricci, segretario provinciale CGIL Ravenna
A seguire, spettacolo L’erba degli zoccoli di Tullio Bugari, proposto da Vi cunto e canto band:
– Tullio Bugari, letture
– Silvano Staffolani, voce e chitarra –
– Lorenzo Cantori, organetto e percussioni
– Marco Pauri, mandola
Chiuderà l’evento Davide Fiatti, segretario nazionale FLAI CGIL

Ingresso a offerta libera
A termine serata cappelletti e sangiovese con contributo di 10 euro
Ravenna, 20 novembre 2019

Sette lucciole perse nel grano

“Sette lucciole perse nel grano”. Abbiamo cercato la delicatezza e la forza della leggerezza, in questa canzone dedicata ai sette ragazzi “martiri del XX giugno”, proprio in contrapposizione allo strazio di cui furono vittime il 20 giugno del ’44. La canzone è stata presentata per la prima volta al Circolo Arci “Martiri XX giugno” – che sorge nel quartiere dove quei ragazzi vivevano e a poche centinaia di metri dal luogo dell’eccidio – e si trova in un palazzo che fu la prima “casa del popolo” in città, realizzata con il lavoro diretto e volontario da quelle persone, famiglie di popolo, operai, artigiani. Non era solo una sede politica ma un luogo sociale, c’erano perfino i bagni pubblici in un’epoca in cui era già un problema avere l’acqua in casa, figuriamoci un bagno decente. Il circolo arci si trova ancora lì, con l’impegno di questa memoria, e lì giovedì 14 marzo abbiamo presentato il reading concerto “Vi cunto e canto… la libertà” (insieme a me Silvano Staffolani, Lorenzo Cantori e Marco Pauri), dedicando la serata a quei sette ragazzi: Armando Angeloni, Luigi Angeloni, Vincenzo Carbone, Francesco Cecchi, Calogero Graceffo, Alfredo Santinelli e Mario Severi. E insieme a loro anche ad altre persone  che in quei mesi furono purtroppo ugualmente vittime, qui in città: abbiamo ricordato con le letture Armando Magnani e Primo Panti, fucilati l’8 e 9 febbraio ’44 sul muro di cinta dell’orfanatrofio, sempre qui vicino, nello stesso quartiere, e nel muro sono visibili ancora i segni lasciati dai proiettili sul muro. Poi abbiamo ricordato, con una lettura e due canzoni, i martiri di via Cannuccia ai quali avevamo dedicato il nostro reading concerto il mese scorso, al circolo Arci “Fratelli Cervi”, nel quartiere della città dove avvenne quell’eccidio, il 26 aprile del ’44.

Insieme a loro, nel nostro reading abbiano ricordato anche altre storie, accadute più lontano, in altre regioni, ma tutte con legami che le accomunano insieme e le legano: tanti dettagli di un’unica storia che ci comprende e lega tutti, in qualsiasi parte d’Italia, per rendersene conto è sufficiente anche soltanto prestare attenzione, quando e se si osservano le lapidi, al luogo di nascita delle persone. Così ci accorgiamo che due dei ragazzi di via Roma si trovavano qui, nascosti in qualche casa, perché portati dalle vicende della guerra. Vincenzo Carbone veniva da Sant’Eufemia, Calabria, Aspromonte – e ci vengono in mente i racconti di Corrado Alvaro sulla “Gente di Aspromonte” – mentre Calogero Graceffo veniva da Agrigento, dalla stessa Sicilia di Placido Rizzotto e Pio la Torre.

Così in scaletta abbiamo inserito, ripresa dai racconti sulle lotte contadine nel libro “L’erba dagli zoccoli”, anche questa storia di Sicilia, anche stuzzicati dal fatto che Placido Rizzotto aveva fatto il partigiano in Carnia (Friuli) e dopo, quando ritornò in Sicilia, prima lui e poi Pio la Torre, avevano occupato i latifondi di proprietari mafiosi vicino Corleone, nella zona di Bisacquino, e il nome di questo stesso paese lo ritroviamo scritto in una lapide esposta qui vicino, a Staffolo, dove il primo nome è di Antonio Alesci, originario di Bisacquino: furono sei i fucilati a Staffolo il 29 giugno del ’44, e furono una parte soltanto delle vittime che in quei giorni caddero in tutta la zona tra Staffolo e la vallata del Musone, appena poche settimane prima della liberazione. Tanti destini diversi che si sono ritrovati incrociati e legati insieme durante quei mesi terribili. Molti per fortuna riuscirono a tornare a casa, e a riprendere anche la “Resistenza sociale” in un paese da ricostruire, altri invece non ce l’hanno fatta e il loro nome lo leggiamo oggi sulle lapidi.

Con Vi cunto e canto ci piace ricordare queste storie, tragiche e che rievocano dolori, inserendole però in una scaletta più ampia, trovando legani tra loro, e raccontarle così come avviene con la vita reale capace di alternare i momenti di dolore e quelli di festa nei quali si torna ad andare avanti, come allora la vita che comunque si ostinava di tenere alta la testa, perché la leggerezza può contenere dentro di sè anche la forza dell’impegno nell’onorare quelle memorie, di vite che si facevano largo per migliorare il mondo e “stare meglio”. Così anche questa volta abbiamo aperto con una canzone che è un omaggio ai cantastorie e poi nella scaletta abbiamo inserito tra le altre anche la canzone San Martino, dedicata ai mezzadri, Marco Cavallo dedicata alle lotte di Basaglia degli anni Settanta ma attuali ancora oggi, e in chiusura anche un’altra storia degli anni Settanta e Ottanta, di nuovo qui in città, anticipando con la canzone “I treni alla stazione” il nuovo libro in uscita La Simeide, dedicato alla lunga vertenza degli operai della Sima di Jesi.

(Altre foto della serata QUI; nel video della canzone ci sono immagini del monumento ai sette martiri e dalle manifestazioni degli ultimi anni nel giorno del 20 giugno, compresa la rievocazione “Sogno ricorrente”, messa in scena dai ragazzi delle scuole di Jesi nell’edizione del 2014).

 

 

 

 

 

 

 

Vi Cunto e Canto… la Libertà, dedicato a William Scalabroni

Vi Cunto e Canto… la Libertà, serata dedicata al Partigiano William Scalabroni, sabato 6 ottobre al Palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno.

Una scaletta con dieci canzoni alternate da racconti e letture tratte dai libri L’erba dagli zoccoli, ‘E Riavulille e In bicicletta lungo la Linea Gotica, legati però insieme, quasi a formare un nuovo racconto, dalle citazioni del libro “William”, scritto dallo stesso William Scalabroni.

“Questa montagna sopporta il peso di troppe croci commmemorative a ricordo di quel giorno” scrive William nel capitolo intitolato “Sentiero della memoria”, nel quale racconta le vicende di quel lontano 3 ottobre del 1943, la battaglia di Colle San Marco, a cui partecipò ancora diciassettenne, alle prese con attacco sproporzionato alle loro forze ancora in via d’organizzazione. Ci fu anche una potente scossa di terremoto durante quella battaglia, e in quel caso salvò la vita ad alcuni ragazzi che stavano per essere fucilati; anni dopo qualcuno mise una lapide in quel punto della montagna per ricordare quel fatto. Un luogo della memoria, uno dei tantissimi sparsi ovunque ma che comunque richiede molta attenzione. Scrive William: “Dopo aver letto questa lapide sono ancora più convinto che non vi sono luoghi dove la guerra non allunghi la sua triste ombra e ho avutola conferma che ogni gruppo di case, ovunque siamo sparse, hanno tutte una storia più o meno tragica da raccontare.”

Luoghi preziosi, da salvaguardare, anche questo è un impegno preciso. Nel suo libro William racconta le vicende di quei lontani giorni ricordandole mentre 64 anni dopo sta salendo su quei sentieri, per ritrovarli, riportarli alla luce e conferire loro lo status di Memoria: “Individuarlo non è stato facile… c’è voluto molto impegno e altrettanta fatica per renderlo
nuovamente  percorribile”,
scrive nel suo libro.

William amava la montagna e la natura, ne conosceva gli angoli, sapeva muoversi dentro, già allora, quando diciassettenne salì insieme ad altri suoi coetanei per unirsi a quel primo gruppo di partigiani e soldati, che appena li videro così ragazzi furono tentati di cacciarli in via: “Tuttavia, anche noi giovani sprovveduti avemmo modo di conquistarci il rispetti altrui perché, quando si studiavano i sentieri, mostravamo grande competenza e si può dire conoscessimo ogni singola pietra, a partire dal piano fino alla sommità della Montagna dei Fiori. Fu così che, per questa nostra prerogativa, uno dei primi giorni di ottobre (forse proprio il primo), fummo distaccati in una caciara situata fra il Giammatura e la piane delle vene Rosse, luogo estremamente panoramico e pertanto strategico in caso di attacco. Alla partenza ci era stata affidata una mitragliatrice…”

E poi via, quei nove mesi di Resistenza, fino alla liberazione di Ascoli Piceno il 18 giugno 1944: sarà stato anche un partigiano ma era sempre un ragazzo e a casa i familiari gli vietarono di farsi vedere in piazza a festeggiare, temendo per lui una qualche tardiva rappresaglia. Lo racconta così William: “Per andare a festeggiare l’arrivo dei ‘nostri’, sfuggii allo stretto controllo scavalcando il muro del giardino e, in poco tempo, mi trovai sotto le logge di Piazza del popolo a gioire dell’arrivo di coloro che attendevo da tempo. La Piazza era piena di gente, e in tutti alberghava la certezza che si sarebbe tornati a vivere una vita migliore, meno oppressiva, più umana, nella quale si poteva parlare, cantare e vestire liberamente. Ascoli quel giorno era tornata libera dall’oppressione nazifascista.” 

“Una vita più umana” dice William. Ho chiuso la scaletta delle letture e delle citazioni di William con questo brano, seguito subito dopo da Silvano e Lorenzo che hanno eseguito “Bella ciao” accompagnati dal battito di mani della sala, che ci aveva seguito con molta attenzione.

Le citazioni del libro di William hanno legato insieme diversi brani di altre storie, di partigiani, di contadini, di altre situazioni di lotta, tutte riferite a persone che hanno vissuto la vita in modo intenso, sincero e libero. Tra le storie e le canzoni quelle di Placido Rizzotto, di Portella della Ginestra e di Vittorio Veronesi o i mezzadri della nostra regione, compresi quelli che salivano su al sentiero dei mietitori, tutti tratti dal libro L’erba dagli zoccoli, e Marco Cavallo, tratta dal libro ‘E Riavulille o il Brigante Piccioni, canzone non nostra ma dell’amico Marco Pietrzela

Alla fine, prima di salutarci, dopo una pausa finale, un ultima canzone, dedicata a Mimmo Lucano: ho ricordato la storia di Rocco Scotellaro, giovane sindaco di Tricarico incarcerato con false accuse in quel lontano 1950, tra occupazioni delle terre e lotte per il riscatto sociale, ricordando i 45 giorni di carcere di Rocco prima che il procuratore riconoscesse che era vittima di calunnie, e di come in quelle sere chiuso in cella leggesse ai suoi compagni di camerata il libro di Carlo Levi “Cristo s’è fermato a Eboli”. Tra i compagni di cella c’erano molti contadini arrestati durante le loro lotte per la terra, e in quelle giornate Rocco scrisse anche una poesia dedicata a Giuseppe Novello, di cui noi abbiamo ripresi dei versi nella nostra canzone Scagliosa, che Silvano e Lorenzo hanno eseguito in chiusura. Dedicata a Mimmo Lucano e alle lotte di oggi. Anche William, se fosse stato ancora con noi, si sarebbe unito.

 

Le lotte contadine in libreria

«Poeti, uscite dai vostri studi,
aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte,
siete stati ritirati troppo a lungo
nei vostri mondi chiusi.
Scendete, scendete»

Abbiamo iniziato così ieri sera, con una poesia di Lawrence Ferlinghetti, in omaggio alla omonima libreria che ci ospitava a Fermo, e poi in aggiunta alla apertura che di solito facciamo con la canzone Sogni alle deriva, dedicata ai migranti di ieri e di oggi (ne approfitto per ricordare sempre lo sciopero dei braccianti africani a Nardò nel 2011 e il movimento che da qui portò alla legge contro il caporalato), abbiamo aggiunto la lettura di un importante scrittore senegalese, Sembène Ousmane, scegliendo dal suo libro Il fumo della savana (Banty mam yall) il brano della marcia delle donne da Bamako a Dakar, che fu all’inizio del movimento che portò quei paesi all’indipendenza. La marcia avvenne nel 1948, dunque nello stesso periodo delle nostre lotte contadine in Italia che racconto nel libro. Le nostre lotte di ieri e di oggi, di qua e di là dal mare.

E poi ancora altri omaggi nel corso della serata, ai nostri contadini e mezzadri e ai mietitori che partivano a piedi verso il monte, il Vettore, per arrivare in Umbria o nelle campagne laziali, con la falce in spalla e a dormire all’aperto nelle piazze dei paesi in attesa di ingaggio. Abbiamo dedicato due letture ai mezzadri e due canzoni, una in particolare ai mietitori e al sentiero dei mietitori, ricordando anche il terremoto di due anni fa.

E poi ancora altri omaggi, alle lotte dei contadini senza terra nelle regioni del sud, ricordando Cosimino Ingrosso con la canzone in cui lo seguiamo mentre carica tutta la famiglia per andare al mare, in una bella domenica di allegra intimità familiare, e poi la figura del poeta della libertà contadina, Rocco Scotellaro, scegliendo nella lettura il brano in cui legge alla notte ai compagni di cella, i contadini arrestati durante gli scioperi e le occupazioni di terre, il libro di Carlo Levi “Cristo s’è fermato a Eboli”. Appunto, “Le lotte contadine in libreria”. E poi la canzone Scagliosa, con le citazioni della poesia che Rocco Scotellaro dedica al bracciante Giuseppe Novello, e in chiusura un altro importante capitolo della nostra storia da ricordare, quel movimento di solidarietà conosciuto come “I treni della felicità”, con la canzone Corre il treno.

Questi solo per citare alcuni dei brani letti e delle canzoni fatte ascoltare ieri, e ancora di più sono state le storie accennate e ricordate nella chiacchierata dopo il reading concerto, perché non si tratta solo della presentazione di un libro ma di un progetto e un percorso che ancora proseguono e anche attraverso queste serate si arricchiscono di nuovi contatti e nuove idee, avviano nuove collaborazioni o ci collegano ad altre iniziative che nel frattempo altri amici fanno partire. Non aggiungo nulla per ora, un po’ di sorpresa ci vuole.

Una bella serata in una bella libreria, tra amici di tutte le età, interessati e curiosi, a raccontarci e cantare storie.

Cantina del Porto

Qualche scatto a ricordo della serata di venerdì 22 alla CANTINA DEL PORTO di Appignano (MC), durante e dopo il reading concerto con le lotte contadine, che ci regalano ogni volta un viaggio nel tempo, avanti e indietro tra ciò che ci accade oggi e la nostra storia di ieri – con tutti i suoi rimandi e riferimenti, non per nostalgie di tempi andati ma per riscoprirne ogni volta i nessi con ciò che siamo noi oggi, il tessuto che ci costruisce, ritrovarlo per non perderci in questi tempi odierni che vanno controcorrente –  e avanti indietro tra tanti diversi luoghi d’Italia, legati tra loro da fili più densi di quanto percepiamo, di tante storie condivise nel tempo.

La scaletta proposta insieme a Silvano Staffolani iniziava con Sogni alla deriva, la canzone dedicata ai migranti di ieri e di oggi: le grandi espulsioni dalle nostre campagne e le nostre migrazioni storiche, e per ricordare anche che “dietro ogni legge c’è sempre una lotta”, riferendoci sia alle leggi seppur parziali di riforma agraria che ottennero allora i nostri contadini, sia all’odierna legge contro il caporalato, a seguito  di un movimento di lotta iniziato con uno sciopero dei braccianti africani a Nardò nel 2011.   Poi abbiamo proseguito con  la nostra mezzadria marchigiana, che qui ad Appignano si “gioca” in casa e non c’è bisogno di spiegare di cosa si sta parlando, anzi, c’è da tenere a freno i ricordi che possiamo stuzzicare, con le letture dal racconto “Il curandero” e la canzone San Martino”.

Quindi siamo scesi a Lentella (“Vi racconto la realtà con la fantasia, perché sono storie che rischiano di perdersi e solo la fantasia può mantenerle vive”) e il suo grande sciopero a rovescio del 21 marzo 1950, e subito dopo in Emilia, il grande sciopero dei braccianti del maggio 1949, con il racconto e la canzone dedicata a Maria Margotti. Poi di nuovo a sud, tra le storie di Melissa nel marchesato di Crotone, le occupazioni delle terre d’Arneo in Salento – due le canzoni, una dedicata a Cosimino Ingrosso compagno e l’altra per ricordare il rogo delle biciclette e infine la Basilicata di Rocco Scotellaro, ricordando le vicende di Montescaglioso e la storia di Giuseppe Novello, nelle lattura e co la canzone Scagliosa.

Avevamo iniziato con un discorso  più generale, ricordando le esperienze delle migrazioni di ieri e di oggi, e abbiamo chiuso con una storia più generale di solidarietà, ricordando quella grande mobilitazione che viene ricordata con il nome di “treni della felicità”, chiudendo con la canzone Corre il treno.

Qualcosa di sinistra

“Qualcosa di Sinistra” è il nome dell’associazione, dal dicembre scorso affiliata all’Arci, che ci ha invitato ieri domenica 6 maggio a Colli del Tronto, vicino Ascoli Piceno, per una serata dedicata a “L’altra Resistenza: racconti di una lotta contadina”.

Con questa serata abbiamo ripreso e chiuso l’iniziativa di un mese fa a Bollate (Mi) con l’associazione L’ora blù, e con l’Anpi, “Aspettando il 25 aprile”, in questo mese dedicato alla festa della Liberazione, e dopo essere passato, per ciò  che mi ha coinvolto personalmente, per la serata alla Casa delle Culture di Ancona con il nuovo romanzo ‘E Riavulille, e poi al Teatro Pergolesi di Jesi con lo spettacolo “E questo è il fiore”, insieme al canzoniere dell’Anpi e al gruppo Arci Voce, e poi le serate organizzate dall’Anpi di Jesi, di cui una in collaborazione con il Circolo Arci Fratelli Cervi, insieme a Adelmo Cervi. Anche ieri sera era presente l’Anpi, la sezione di Offida, con i moduli di raccolta di firme della campagna Mai più Fascimi, come già avevamo fatto al Pergolesi di Jesi.  Ieri eravamo in un centro sociale dell’Auser, presente anche lo SpiCgil, in un territorio che conobbe un’intensa stagione di lotte mezzadrili,  che abbiamo ricordato insieme in apertura della serata.

Ma il vero ricordo, a inizio serata, è stato per il partigiano William Scalabroni, con una lettura dedicata a lui, qui nella sua terra; un ricordo ancora fresco come una ferita, perché è da pochi mesi che ci ha lasciato dopo una vita intensa e sempre impegnata; personalmente avevo avuto l’occasione di incontrarlo cinque anni fa ad Ascoli, quando ero andato a presentare il libro In bicicletta lungo la Linea Gotica, e infatti anche ieri sera per l’occasione ho indossato la maglietta della Staffetta della Memoria, quella con le parole di Calamandrei: “Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la Costituzione, andate nei monti dove caddero i partigiani”.

Ieri sera Silvano e Lorenzo hanno accompagnato la lettura dedicata a William Scalabroni con gli organetti, sull’aria degli stornelli popolari di casa nostra, così come per un po’ si sono esibiti spontaneamente negli spazi all’esterno prima di iniziare la serata. Lo spirito dei nostri reading concerto è proprio questo, un po’ alla maniera dei cantastorie, rivivere le storie rievocandone l’atmosfera e la vitalità, il sentimento che allora vi mettevano dentro le persone che quelle storie le vivevano. E se cerchiamo di ricordarle in questo modo, non è certo per vuota nostalgia né tantomeno per superficiale rievocazione folclorica. Nell’introduzione al mio libro scrivo: «Soltanto oggi avverto con pienezza il senso drammatico della frattura che quelle generazioni hanno vissuto, e non tanto per quel mondo che non c’è quasi più da nessunaparte, perché anche loro volevano cambiarlo per averne uno migliore. E se gli avessero dato retta, l’avremmo avuto davvero uno migliore. Direi piuttosto che la frattura riguarda il patrimonio di esperienze che hanno affrontato per ottenerlo, l’impegno che ci hanno messo, la vita senza arzigogoli di linguaggio ma direttamente. Un patrimonio enorme, che non si vede. Questa sensazione di fondo che avverto, la bellezza di quelle esperienze e la fragilità del loro senso, permea di una luce forte tutte le immagini che ho maturato in quel tempo e poi ho ricordato negli anni, come una manutenzione dello spirito, ogni volta che con i miei si tornava a parlarne.»

E poi, dopo i saluti e l’introduzione, è seguito il reading concerto vero e proprio, alternando le letture e le canzoni tratte dal libro L’erba dagli zoccoli; abbiamo iniziato con la canzone San Martino, dedicata ai nostri mezzadri, e concluso un’ora dopo con la canzone Corre il Treno, per ricordare una grande storia di solidarietà, quella dei treni della felicità, che nel dopoguerra accompagnò ed aiutò le lotte contadine. Solidarietà, una parola che oggi richiede un’attenzione ulteriore ma che qui corrisponde all’impegno associativo praticato, perché qualcosa di sinistra non è uno slogan ma riassume proprio lo scopo praticato dall’associazione, ispirato ai principi del mutualismo e attento ai bisogni concreti e immediati del proprio territorio. (E sulla pagina FB ancora altre FOTO).

 

 

Sulle ali dei pedali, tra le storie di ieri e gli impegni di oggi

Un vero incontro sabato 7 aprile, di quelli in cui ci si scambiano esperienze e percorsi, per condividerli e rivalutarne insieme il senso. L’occasione ce l’ha fornita l’associazione culturale L’Ora Blù di Bollate, che insieme all’Anpi di Bollate-Baranzate ci ha invitato all’iniziativa “aspettando il 25 aprile”, per presentare il nostro reading concerto sulle lotte contadine, l’altra Resistenza, inserendolo però in un contesto conviviale, con il suo invitante menù, e alternando, dentro le pause tra un piatto e l’altro, le nostre letture e canzoni. Cibandoci, oltre che di buon cibo e buon vino, anche di belle storie, in modo più completo.

Ci siamo accorti, così, che il rapporto tra convivialità e reading è reciproco. Cioè, il nostro reading concerto si è svolto ugualmente per intero, ma in più lo abbiamo arricchito tra una lettura o una canzone e l’altra con delle pause conviviali, nelle quali le luci in sala ritornano per un po’ all’illuminazione normale e ci consentono di condividere oltre oltre alle nostre storie anche i cibi e le bevande, e insieme naturalmente le conversazioni dirette tra amici, scambiandoci così ancora altre storie.

E allora, ad esempio, ecco che gli amici dell’Orablù in queste pause del reading ci hanno raccontato la loro “agenda ri/trovata”, cioè il viaggio che nel mese di luglio dell’anno scorso hanno fatto in bicicletta, partendo da Bollate per arrivare a Palermo il 19 luglio, con l’agenda rossa ritrovata, firmata da tutte le persone incontrate lungo quella strada, e portarla alle cerimonie in via D’Amelio per ricordare Paolo Borsellino.
Venticinque giorni sui pedali della bicicletta per arrivare in tempo esattamente nell’anniversario dei venticinque anni.
Complimenti. Ci vuole soltanto uno straordinario senso della semplicità, come quando si esce da casa come se niente fosse e per fare una passeggiata solo un po’ più lunga, per rendersi conto soltanto alla fine del significato esatto della propria iniziativa, dopo averla assimilata con lentezza nelle gambe, nella testa e in tutto il corpo, una pedalata alla volta. Cento, mille, centomila volte.

Anche noi ci siamo preparati al reading concerto con la consueta tranquillità, senza pensarne troppe, e solo mentre eravamo lì, quando ogni volta in ciascuna delle quattro pause conviviali a noi dedicate salivamo su quel piccolo palco in mezzo ai tavoli, e riprendevamo a leggere e proporre canzoni, ci rendevamo conto di aver aperto la serata proprio con una canzone dedicata ad un ciclista, la storia del bracciante Vittorio Veronesi, la canzone “Prendete quella canaglia”, di quando i carabinieri lo inseguono in quegli anni dopo la guerra per arrestarlo durante uno sciopero, e lui fugge veloce, con la sua bicicletta, nascondendosi tra le macchie e le passerelle della laguna di Mantova. E poi di nuovo qualche tempo dopo, con le loro biciclette strette tra le mani, Vittorio e i suoi compagni, nella triste e buia notte dell’agguato. Ho introdotto la canzone eseguita da Silvano anticipando in lettura una strofa: “Gli occhi nel buio Vittorio e Nerino /tra le mani stringono le biciclette / Tra le parole cercano i pensieri / Tra i passi la vita ancora in bilico”.
E poi  di nuovo, a fine serata, abbiamo chiuso con una lettura  e una canzone per ricordare il “Il rogo delle biciclette” durante le occupazioni delle terre d’Arneo in Salento. E cioè la bicicletta come strumento di vita, prezioso più di qualsiasi altra cosa, che con il rogo delle biciclette sequestrate dalle forze dell’ordine intervenute per reprimere le occupazioni delle terre, diventa anche il simbolo dell’oltraggio subito, e da riscattare. E naturalmente, io e Silvano abbiamo dedicato questa parte a Cosimino Ingrosso, ricordando il monumento dedicato a lui alle Fattizze d’Arneo, che lo rappresenta lanciato nel vento sulla sua bicicletta, sulle ali dei pedali.

Così, la cornice della serata di sabato all’Ora Blù, racchiusa nel titolo “aspettando il 25 aprile”, tema introdotto in apertura dalla rappresentante dell’Anpi di Bollate e Baranzate, si è riempita di un ulteriore senso in più, grazie al filo conduttore della bicicletta, sulle ali dei pedali, che è emerso spontaneamente da solo, dal nostro fondo di storie, facendoci ritrovare punti di contatto reali tra le storie di ieri e gli impegni di oggi. Mi hanno così fatto ricordare, in quelle conversazioni, anche le mie recentissime pedalate lungo la Linea Gotica, al seguito della Staffetta della Memoria (a proposito, anche noi avevamo una nostra agenda con la copertina rossa, nella quale raccoglievamo sotto al testo della nostra carta costituzionale, le firme di tutti quelli che incontravamo lungo il percorso).

L’OraBlù è anche e soprattutto un punto d’incontro, espresso graficamente in quella freccia che indica un centro, e gli incontri con le storie o con il tempo possono essere tanti, ciascuno può ritrovare i suoi, e infatti ho visto anche Silvano alle prese con i suoi, io qui ne ho raccontato solo uno, quello che ha fatto da filo conduttore alla serata più generale. Dicono che quel simbolo con la freccia e il punto, per un fortuito caso, somigli proprio a quello che Borsellino annotava nella sua agenda per ricordare gli appuntamenti con sua madre in via D’Amelio. Io ho sempre sostenuto che il caso non viene mai davvero per caso.

E non solo queste ma anche altre storie ci siamo scambiati, che a raccontarle tutte non ce se la fa in una volta sola. Potrei comprendervi anche il luogo dove poi sono andato a dormire, una cascina lombarda di inizio ottocento, completamente ristrutturata alle esigenze di oggi ma intatta nelle sue strutture portanti e con i segni ancora evidenti delle antiche tracce di vita, lasciate apposta come un racconto, dove erano le pareti interne originarie, le canne fumarie, perché ogni tipo di abitazione rispecchiava un sistema di vita, sociale e di rapporti di lavoro, e di legami familiari, una cultura e un modo di sentire. Abitazioni così diverse da una regione all’altra del nostro paese – al ritorno ci siamo fermati alla casa Cervi a Gattatico – come le sue mille lingue, che nei racconti del libro cerco di citare per rappresentarne la vivezza e il tipo di sguardo che c’è dietro, e insieme il senso di una vita che reagisce sempre in modi nuovi e originali alle tante diverse circostanze in cui si trova costretta, senza mai piegarsi. Altro che cento, mille e centomila pedalate, c’è dentro ancora di più.

La nostra scaletta della serata, dopo l’introduzione, l’abbiamo divisa in tre parti, la prima dedicata alle nostre Marche, dei mezzadri e della mezzadria, e oggi anche del terremoto e di questa sua zona interna così martoriata dall’abbandono; la seconda parte dedicata agli scioperi a rovescio, con le storie di Lentella in Abruzzo e del Cormor in Friuli – e poi nelle conversazioni mi hanno raccontato la storia di oggi della Ri-MAFLOW -; la terza parte dedicata ai contadini senza terra del sud e alle grandi occupazioni dei latifondi, scegliendo oltre alla storia del rogo delle biciclette anche il ricordo di Melissa, attraverso la canzone Fragalà: «La memoria quando ti colpisce / Non puoi trattenerla / Con gli altri tu devi dividerla / Se vuoi usarne la forza».

A inizio serata, dopo la canzone “Prendete quella canaglia”, per dare non solo il benvenuto ma anche il buon appetito a tutti – eravamo a tavola – ho raccontato che prima di andare mi ero interrogato su come si possono inserire in una serata conviviale storie, come quelle che avremmo raccontato e cantato, che hanno anche risvolti assai tristi. La risposta non l’avevo, sapevo soltanto che  in uno dei racconti del libro – anche se sabato sera non era in scaletta – ci sono due anziani osti, in una trattoria di Trapani, che tra un piatto e l’altro che servono e mangiano in compagnia del loro ospite, un ragazzo, gli raccontano anche la loro storia a Portella della Ginestra il Primo Maggio del 1947, perché loro si trovavano lì. Quel ragazzo ero io tanti anni fa, e nel libro la racconto proprio così, quella triste vicenda che mi avevano narrato proprio a tavola, tra un piatto e l’altro. E quindi, probabilmente, i momenti conviviali possono essere, se vissuti in modo consapevole, i più adatti per condividere in modo più intenso le storie che ci appartengono. E inoltre, anche questa storia di Portella ci riporta in quell’angolo d’Italia che si chiama Sicilia.

LE FOTO DELLA SERATA, dal blog dell’associazione L’OraBlù
(foto Ivano De Pinto)

 

 

 

Metti una sera all’Università

Un incontro davvero interessante lunedì pomeriggio, 12 marzo, all’Università Politecnica delle Marche, all’ex caserma Villarey al centro di Ancona. Questo tipo di esperienza ancora ci mancava, nei nostri giri con libro e chitarra a raccontare le lotte contadine, in particolare del dopoguerra, alla metà del Novecento. L’occasione è stata offerta dai docenti del corso di Diritto del Lavoro, Antonio Di Stasi e Laura Torsello. Davanti a noi, nell’aula magna della facoltà intestata a Giorgio Fuà, un folto gruppo di studenti del corso di laurea triennale. L’unico precedente un poco simile lo avevamo avuto nel dicembre scorso a Montescaglioso, nella serata di Resistenza Contadina, dove insieme agli adulti erano presenti anche i ragazzi delle scuole superiori che avevano lavorato alla pagina wikipedia dedicata al bracciante Giuseppe Novello. Qui però all’università il contesto era ancora diverso: “a lezione”. E provoca anche un’ulteriore emozione vedere ragazzi di circa venti anni seguire così attenti il racconto di storie accadute “soltanto a metà Novecento”, praticamente ieri, eppure già quattro o cinque decenni prima della loro nascita, più o meno al tempo dei loro nonni. Un po’ sorpresi i ragazzi all’inizio, quando ci hanno visto arrivare, montare i leggii davanti alla cattedra, a ridosso della prima fila di sedie, e accordare la chitarra e sistemare i fogli: i loro docenti li hanno rassicurati: non avevano sbagliato lezione ma si trovavano davvero nel posto giusto e all’ora giusta.

Del diritto del lavoro, e della nascita delle nuove normative e contratti e dei primi anni di applicazione della Costituzione, noi abbiamo offerto soprattutto la visione del sottostante lato umano e sociale, quello partecipato da migliaia di persone, in particolare nei nostri racconti i contadini, per i quali quelle leggi appena scritte sulla carta o addirittura ancora da finire da scrivere, non erano soltanto dispute teoriche ma riguardavano direttamente la loro vita immediata, le aspirazioni, il bisogno di un’emancipazione sociale e umana, che non era affatto scontata, e per la quale capitava di doversi battere, mobilitarsi, occupare le terre, rimboccarsi le maniche e organizzare gli scioperi a rovescio quando le istituzioni o le parti sociali avverse erano troppo lente o si mettevano addirittura di traverso. Insomma, la vita nella sua complessità e nella sua voglia di andare avanti.

Abbiamo diviso le nostre letture e canzoni in tre gruppi, accompagnati da un passaggio all’altro dagli interventi dei docenti. La prima parte dedicata ai mezzadri del nostro Centro Italia, la seconda ai braccianti, con riferimenti in particolare al grande sciopero della primavera del 1949 con il suo epicentro nella pianura padana, e l’ultima parte ai contadini senza terra e alle grandi occupazioni dei latifondi nel Sud. Quattro brani e quattro canzoni, in apertura San Martino, la canzone dedicata alla figura del mezzadro e che già nel titolo ricorda il giorno in cui in campagna venivano eseguite le disdette dei contratti di assegnazione della terra. Poi le canzoni dedicate alle figure di Maria Margotti e di Vittorio Veronesi, e per concludere la canzone dedicata alla vicenda di Melissa, dell’ottobre 1949, scelta in chiusura anche per sottolineare a ricordo della serata l’importanza della memoria: “La memoria siamo noi in questa stanza / Ce la portiamo dentro / Ogni giorno a rovistarci / Non dovremmo mai farlo da soli”.

Il tempo è volato via che non ce ne siamo accorti, gli spunti che abbiamo offerto ci sembrano molti, ora tocca ai docenti dipanarli e riordinarli, e riviverli con i loro studenti, come sono abituati a fare. I racconti del libro contengono molti riferimenti storici ai temi al centro delle rivendicazioni e al contesto sociale politico e legislativo in cui quelle lotte si sviluppavano, perché allora era la stessa applicazione della carta costituzionale che diveniva oggetto di rivendicazione, quando i contadini durante i cortei e le occupazioni di terre attaccavano sulle loro bandiere, a loro sostegno, gli articoli della Costituzione che più li riguardavano, come cito io stesso in diversi racconti del libro, o come ricorda ad esempio Danilo Dolci, che diede perfino un titolo di questo tipo ad uno dei suoi libri: Processo all’articolo 4.