Vi Cunto le favole, le filastrocche vi canto

In viaggio con Gianni Rodari nell’anno del centenario della sua nascita; letture da “Favole al telefono” e canzoni con le sue filastrocche e le poesie, a cura di Arci Voce aps e di Vi Cunto e Canto band  per la programmazione #ResistenzaVirale promossa da Arci nazionale. 

Abbiamo pubblicato su youtube queste letture e canzoni tra metà marzo e metà aprile, nel periodo centrale in cui siamo stati costretti a casa, e le favole al telefono di Rodari – favole che si raccontano da lontano quando non si può fare altrimenti – sono state il nostro modo per continuare a restare insieme:

«Perché abbiamo scelto Gianni Rodari? Innanzitutto perché in questi giorni difficili (carichi di ansia e di incertezza e che oltre al presente stanno cambiando in modo non prevedibile anche il nostro futuro) ci aiuta con la sua leggerezza densa di significato a ritrovare noi stessi.»

 

 

 

In rosso le favole e in blu le filastrocche:

Presentazione: C’era una volta….
Anteprima: Filastrocca di Primavera.
Video 1: Il semaforo blu; Filastrocca corta e matta; Il naso che scappa.
Video 2: La donnina che contava gli starnuti; Giovannino Perdigiono; Il topo dei fumetti.
Video 3: Storia del regno di Mangionia; Filastrocca impertinente; Il palazzo da rompere.
Video 4: Alice cascherina; Sulla Luna; Le scimmie in viaggio.
Video 5: La passeggiata di un distratto; Bella nave; Il giovane gambero.
Video 6: La strada di cioccolato; Il professor Sospeso; Il cacciatore sfortunato.
Video 7: Il palazzo di gelato; Il cielo è di tutti; Giacomo di Cristallo.
Video 8: Il pulcino cosmico; Alla formica; A sbagliare le storie.
Video 9: Il paese senza punta; La Speranza; Il paese con la S davanti.
Video 10: Promosso più due; Il calamaio; Il pozzo di Cascina Piana.
Video 11: La coperta del soldato; Sala d’aspetto; La strada che non portava in nessun posto.
Video 12: La caramella istruttiva; Sospiri; Brif bruf braf; La storia universale.

Tutte le filastrocche inserite nei video (e anche qualcuna di più) Silvano Staffolani le ha raccolte sotto il titolo … sulla luna e sulla terra fate largo ai sognatori; potete ascoltarle e anche scaricarle liberamente QUI.

I sette fratelli. Abbiamo chiuso (momentaneamente) questa cavalcata nelle favole e filastrocche di Gianni Rodari con un omaggio particolare il 14 aprile, anniversario della sua scomparsa quaranta anni fa. In questo video di circa 20 minuti proponiamo insieme: “I sette fratelli”, “La fucilazione”, “Compagni Fratelli Cervi” e “La madre del partigiano”. Vuole essere insieme un omaggio anche ad Alcide “papà” Cervi, al quale Gianni Rodari dedicò il poema breve “Compagni Fratelli Cervi” nel 1955, in occasione del compleanno degli ottanta anni di Alcide.

Ma già il Primo Maggio ci siamo concessi un “colpo di coda” e siamo tornati a Gianni Rodari per riprendere alcune sue poesie e filastrocche sul tema del LAVORO.

 

 

 

Ricordando Placido Rizzotto (10 marzo 1948)

“Il vento del Nord” è il titolo di una nostra canzone dedicata a Placido Rizzotto, perché così fu chiamato quando rientrò in Sicilia dopo la Resistenza (era stato partigiano in Carnia con le Brigate Matteotti) ma in Sicilia ben presto divenne anche il “vento del Sud”, segretario dela Camera del Lavoro di Corleone, a organizzare le lotte dei braccianti. Il 10 marzo 1948 fu ucciso; il capitano dei Carabinieri si chiamava Carlo Alberto dalla Chiesa, e individuò subito il gruppo dei mafiosi che l’avevano ucciso, ma mancava il corpo di Rizzotto, che fu ritrovato soltanto molti anni dopo. A prendere il posto di Rizzotto alla Camera del Lavoro fu mandato un giovane palermitano di 23 anni che si chiamava Pio La Torre, che lo sostituisce degnamente ed esattamente due anni dopo, il 10 marzo del 1950, guida i braccianti a occupare i latifondi dei mafiosi a Bisacquino, vicino Corleone. Pio la Torre quel giorno fu arrestato e restò chiuso all’Ucciardone per 18 mesi.

Quando presentiamo questa canzone nei nostri reading dedicati alle lotte contadine, dobbiamo spiegare tutto questo, perché “Vento del Nord” è un titolo “strano” che si porta dentro purtroppo negli ultimi anni “assonanze politiche” che non c’entrano nulla con la storia di Rizzotto.

In questi ultimi giorni forse è ancora peggio, perché pare che ora dal Nord scendano insieme virus e panico, in combinazioni variabili tra loro e niente affatto chiare (dove la prudenza “solidale” di mantenere una distanza momentanea per non esporre altri prima ancora di se stessi al contagio, rischia d’imprimerci dentro automaticamente una paura permanente del tutti contro tutti), ma nulla è chiaro purtroppo in questo momento (9 marzo 2020), e si sommano sopra anche altre cattive notizie, sia di tipo economico (crolli in borsa paurosi questa mattina, aggravati anche dagli effetti proprio oggi di mancati accordi internazionali sui prezzi del petrolio, come nella crisi energetica del 1973), sia di tipo “sociale”, come le terribili notizie che riguardano i profughi in fuga ai confini greco turchi, respinti e attaccati da tutti. E altre cose ancora, come le rivolte in corso in molte carceri italiane.

“Non si può ingabbiare il vento” dice in apertura la canzone e il vento naturalmente è quello solidale di Placido Rizzotto, e poi la canzone prosegue, specificando “Quando le parole sono un fiume” e soprattutto “Quando la gente è un fiume, dilaga sulle trazzere e i latifondi”. La canzone rende omaggio a tutto questo e aggiungerei anche a qualcosa di più con questa metafora del vento che non si può ingabbiare, e che rappresenta la vicinanza tra le persone al di là dei confini e delle distanze. Questa mescolanza e questo scambio tra le persone sono la nostra forza più grande, il nostro patrimonio.

Per raccontare questo ‘qualcosa in più’ durante i nostri reading inizio di solito con il ricordare che a Staffolo, un paese della nostra regione, le Marche, c’è una lapide dedicata ad alcuni partigiani fucilati durante una rappresaglia nel giugno del 1944, e nella lapide si legge oltre al loro nome anche il loro paese di provenienza, e uno di questi giovani veniva proprio da Bisacquino, e così racconto chi era questo ragazzo e aggiungo che se non fosse stato fucilato magari qualche anno dopo avrebbe potuto incontrare Rizzotto, magari non per occupare le terre insieme ma questo per il semplice motivo che quel ragazzo era un carabiniere, e anzi che proprio per questo magari avrebbe potuto conoscere e lavorare con il giovane capitano dalla Chiesa, proprio per indagare sulla morte di Rizzotto. E così via, tante storie che s’intrecciano e legano in un solo filo, il filo dei dettagli che unisce la Storia: la Carnia, la Resistenza, le lotte dei contadini, la Sicilia, Pio La Torre e le lotte contro la mafia e la sua amicizia fin da quei lontani giorni a Corleone con dalla Chiesa e poi le sue lotte contro i missili nucleari in Sicilia all’inizio degli anni Ottanta, pochi giorni prima della sua uccisione. Tutto questo partendo da una lapide esposta a Staffolo, che ci ricorda la mescolanza di quei giorni – venivano tutti da altri paesi quei 5 giovani fucilati – e bastava già spostarsi di qualche chilometro ancora verso il Monte San Vicino per trovare uno dei battaglioni partigiani più internazionali di tutto l’appennino (c’erano anche partigiani somali ed etiopi, ne parla in un recente libro lo storico Matteo Petracci). E questo è solo un esempio, perché era così ovunque e da questo nasceva la loro forza.

Domani è il 10 marzo, anniversario della morte di Placido Rizzotto, ricordiamo lui e tutti questi significati che ritroviamo seguendo la sua storia, fino ad arrivare a noi in queste giornate difficili, in mezzo alle quali però non dobbiamo perderci né disperderci, dando il giusto siginificato alle cose: “non si può ingabbiare il vento quando la gente è un fiume”.

 

 

 

Musica e spettacolo contro il caporalato

COMUNICATO STAMPA

L’erba dagli zoccoli, racconti da una lotta contadina: Nell’immediato secondo dopoguerra, negli anni tra il 1943 e il 1950, l’Italia, in particolare quella meridionale, fu interessata da un grande movimento contadino, diretto da Giuseppe Di Vittorio futuro segretario generale della CGIL.
Queste lotte contadine sembrano una vicenda lontana, di un paese agricolo ed arretrato. Eppure, i fenomeni di caporalato, di lavoro in nero e di nuovo schiavismo ripropongono in modo drammatico le stesse motivazioni che avevano spinto allora i contadini alla lotta: la terra come patrimonio di chi la lavora, la dignità e le giuste condizioni di lavoro, la democrazia e la giustizia sociale. Ravenna è stata il territorio delle lotte bracciantili e delle cooperative, terra di riscatto, idealmente vicina agli sfruttati di oggi.

La Sezione Luigi Fuschini dell’ANPI di Ravenna e CGIL intendono celebrare l’anniversario della liberazione di Ravenna ricordando le lotte contadine del secondo dopoguerra e la figura di Giuseppe Di Vittorio: Abbiamo deciso di farlo ricorrendo alle testimonianze dei protagonisti, raccolte e narrate da Tullio Bugari nel libro “L’Erba dagli zoccoli, racconti da una lotta contadina” Vydia Editore 2016: efficacemente trasposte in forma di letture musicali.

Programma:
Venerdì 6 dicembre 2019 dalle ore 17:30
Sala Celso Strocchi – Via Maggiore, 71 – RAVENNA
In apertura, intervento di Costantino Ricci, segretario provinciale CGIL Ravenna
A seguire, spettacolo L’erba degli zoccoli di Tullio Bugari, proposto da Vi cunto e canto band:
– Tullio Bugari, letture
– Silvano Staffolani, voce e chitarra –
– Lorenzo Cantori, organetto e percussioni
– Marco Pauri, mandola
Chiuderà l’evento Davide Fiatti, segretario nazionale FLAI CGIL

Ingresso a offerta libera
A termine serata cappelletti e sangiovese con contributo di 10 euro
Ravenna, 20 novembre 2019

Dedicato a Mingo Giannace

È scomparso ieri, all’età di 95 anni, Domenico Giannace, detto Mingo, di Pisticci, Basilicata, uno dei più importanti punti di riferimento delle lotte contadine e sindacali della sua regione, dagli anni Quaranta del Novecento in poi.
Nella tristezza che una morte si lascia sempre dietro, posso dire però anche di essere fiero di averlo conosciuto.
Ne ho avuto l’occasione due anni fa a Montescaglioso, in occasione dell’inaugurazione della Camera del Lavoro intestata a Giuseppe Novello, quando fui invitato insieme a Silvano Staffolani per inserire nella scaletta della manifestazione, molto ricca e partecipata, anche alcune nostre letture e canzoni dedicate a quelle lotte.

Questa qui a fianco è la foto che scattai a Mingo davanti alla Camera del Lavoro, mentre parlava con Filippo Novello. Mingo teneva il suo libro in mano, che poi mi mostrò, dove aveva raccolto i racconti delle sue lotte e della sua vita, con un po’ di documentazione e testimonianze, mi mostrò le foto che vi erano inserite, ricordo una foto di lui giovane in un giorno di festa, elegante, piccolo di statura e di portamento fiero, emanava da quella foto tutta la sua vitalità e presenza, così come la emanava quella sera, con il suo volto sempre sorridente e insieme attento, ricordo ancora il suo pungno sul tavolo durante il suo intervento, l’esortazione a voce piena e la mano verso l’alto:“Svegliatevi”.

Poco prima, mentre camminavamo dalla Camera del Lavoro al palazzo dove si sarebbe svolta, appunto, la seconda parte della manifestazione, intitolata Resistenza Contadina e organizzata dalla Cgil di Matera, Mingo mi aveva raccontato che nel 1950 aveva incontrato Rocco Scotellaro nel carcere di Matera.

Rocco era stato incarcerato l’8 febbraio del 1950, con false accuse, dopo che era stato eletto per la seconda volta sindaco di Tricarico. Poi Scotellaro era stato scagionato da tutto, con parole inequivocabili dalla stessa Procura che aveva individuato il complotto, scarcerandolo il 23 marzo. Mingo invece era stato denunciato qualche mese prima durante uno sciopero per il lavoro ma si era nascosto, latitante, per poi costituirsi nel mese di marzo, pochi giorni prima della liberazione di Rocco, e quindi si erano incontrati dentro il carcere, in mezzo a tanti altri contadini arrestati come loro: “In maggioranza, erano i contadini del gruppo dei reati per resistenza e violenza a pubblico ufficiale, per istigazione a delinquere, per sedizione e per tutti quegli altri crimini, variamente definiti dal codice, delle agitazioni contadine”, come scrive Scotellaro nel libro L’uva Puttanella.

Anche Mingo, come Rocco, fu scarcerato, in quell’occasione, dopo circa 40 o 50 giorni; poi lui fu assolto, mi pare, per insufficienza di prove.  Sulla vita di Mingo, per chi vuole conoscerlo meglio, è  disponibile anche una pagina di Wikipedia.

Dedico qui a Mingo Giannace la nostra canzone SCAGLIOSA, dove io e Silvano citiamo alcuni versi della poesia dedicata da Rocco Scotellaro a Giuseppe Novello, e donata alla moglie Vincenza Castria che all’epoca aveva ventisette anni; la canzone l’abbiamo composta per ricordare tutti i protagonisti, come Mingo, delle lotte contadine e sindacali. Quella sera a Montescaglioso, prima che Silvano la facesse ascoltare, avevo letto alcuni brani di Scotellaro, dove ricorda i suoi giorni del carcere, e ricordo cheero emozionato mentre leggevo perché avevo vicino chi lo aveva incontrato proprio in quelle giornate e i quei luoghi.

 

 

21 marzo 1950 (dedicato a Cosmo Mangiocco e Nicola Mattia)

21 marzo. Da qualche anno mi sono abituato a dedicare il primo giorno di primavera alle lotte per il lavoro, e in particolare a quella particolare forma di lotta che fu lo sciopero a rovescio. Tre anni fa mi trovai a presentare a Lentella l’uscita del mio libro dedicato alle lotte contadine, L’erba dagli zoccoli, perché coincideva con l’anniversario del loro sciopero a rovescio – per costruire una strada – e delle vittime che lasciò in quel paese il 21 marzo del 1950.

Il primo racconto che apre il mio libro era nato lì, dopo una visita che avevo fatto grazie ad alcuni amici della zona, che mi avevano fatto conoscere alcuni testimoni di quelle lontane giornate. Dedicammo poi a questa storia anche una canzone.
Pare che lo sciopero a rovescio, come forma di lotta, fosse nato a Melissa, nel crotonese, cinque anni prima, anche lì per costruire una strada.
Melissa è nota, ma forse solo per chi segue come me di queste storie, per l’eccidio che ci fu il 29 ottobre del ’49 – quest’anno sono settanta anni – durante l’occupazione delle terre a Fragalà. E più di recente, si è fatta notare per il salvataggio di naufraghi migranti che si erano incagliati con il barcone sulla loro spiaggia, come se in quel paese di magna grecia sia sempre presente un gene in più, quello della vicinanza.

Nel mio libro c’è anche un altro racconto dedicato allo sciopero a rovescio, ed è la storia della costruzione di un canale per bonificare le zone paludose del Cormor, in Friuli, a sud della linea delle risorgive.

Nell’ottobre di tre anni fa mi capitò di partecipare alla veglia notturna sulla diga del Vajont, nel comune di Erto e Casso, e verso mezzanotte, in piedi attorno al falò acceso, lessi due brani dal mio libro, il primo dedicato a Melissa e il secondo al Cormor: Calabria e Friuli uniti nella lotta, per dirla con una battuta, ma il Vajont, mi spiegavano gli organizzatori della veglia, per l’immensità della sorte che ha subito è il contenitore capace di contenere tutte le nostre lotte, che si misurano con conflitti la cui origine è sempre sociale.

Il 21 marzo, quindi da qualche anno, quasta data la associo in modo più diretto a queste cose, mi stimola queste ed altre associazioni, e forse non a caso l’introduzione autobiografica al mio libro sulle lotte contadine l’ho intitolata proprio “Le parole le ho sempre associate”. E sono tante le associazioni che devo trattenermi: tutti i racconti del libro contengono riferimenti che li lega l’uno all’altro.

Quel giorno di tre anni fa a Lentella coincise anche con il primo – allora solo un abbozzo – racconto di un libro in lettura e canzoni. Allora trovai in zona come musicista a improvvisare il duetto con me Doriano Cirino, che si presentò in “alta uniforme, con vestiti tradizionali e poi quando venne il suo turno intonò Brigante se more. Perfetto.

Trovai in quei primi mesi, girando a nord e a sud, diversi musicisti mentre anche il reading concerto iniziava a prendere forma e poi ebbe quasi subito la sua forma più definitiva grazie alla collaborazione con Silvano Staffolani: nacquero canzoni nuove, si unirono uno alla volta altri due musicisti, Lorenzo Cantori e Marco Pauri, arrivò anche un altro libro – ‘E Riavulille, un romanzo ambientato negli anni Settanta – e altri racconti.

Il reading concerto – dopo circa una ottantina di serate nei posti più svariati-  si è evoluto, è diventato Vi Cunto e canto come al tempo dei cantastorie , una sorta di canovaccio attorno cui costruiamo ogni volta una scaletta dedicata, e continua ad arricchirsi ad ogni nuova occasione. Quest’anno, in questo momento, è pronto a misurarsi ancora con una nuova storia, in occasione dell’uscita di un nuovo libro: si vede che questo momento dell’anno – la primavera – voglia esprimersi così.

Il nuovo libro lo presentiamo domani pomeriggio, venerdì 22, e s’intitola La Simeide, come gli antichi poemi – citavo poco fa la magna grecia – ed è dedicato alla storia di una lunga lotta operaia tra gli anni Settanta e Novanta, che interessò una fabbrica di Jesi, la mia città, ed è quindi un pezzo di storia della mia città. Si tratta però – ricordo sempre in questi giorni di promozione del libro – di una storia locale di interesse non localistico, per la peculiarità della sua posizione che pur partendo da una periferia la portava a misurarsi direttamente sulla scena “centrale”, ma in fin dei conti mi sono reso conto che nessuna storia ha mai solo un interesse localistico: vorrebbero farcelo credere, per mantenerci isolati uno dall’altro, ma le storie di lotta sono tutte collegate, sono tutti dettagli di una grande storia che ci contiene tutti. Viva la primavera e questo giorno dedicato alla memoria di Cosmo Mangiocco e Nicola Mattia.

 

Missili nucleari e lotte contadine

«Domenica 2 maggio. Emana forza il silenzio che sfila per le vie di Palermo. La gente ha deciso di esporsi in piazza con la sola presenza disarmata dei corpi. Le parole le serba per sé, che restino integre. Persino i pensieri tacciono, evitano le metafore, si limitano a ribadire: ci siamo. Tra le persone che sfilano due giovani forestieri che si trovavano a Comiso. Si girano attorno…», inizia così il racconto “Santa Maria del Bosco” dedicato alle occupazioni delle terre a Bisacquino dirette da Pio La Torre, che aveva sostituito Placido Rizzotto alla Camera del lavoro di Corleone. Quel 10 marzo del 1950 Pio La Torre fu arrestato e rinchiuso per un anno e mezzo all’Ucciardone con false accuse.

La domenica 2 maggio invece è quella del 1982, data del suo funerale dopo essere stato assassinato dalla mafia. Nel mio libro inizio il racconto in questo modo, riprendendo in un solo percorso le lotte dei contadini per la terra e quelle contro i missili nucleari a Comiso, e immagino una coppia di giovani a Comiso per quella battaglia, in quei giorni era in corso uno sciopero della fame a cui anche La Torre stava partecipando: «Il 29 aprile a Comiso era stato indetto un digiuno di protesta. Non è più come ai tempi di Danilo Dolci, quando per uno sciopero della fame bastava spostarsi in mezzo alla strada, tanto non si mangiava nemmeno in casa ma fuori almeno si era in tanti e non da soli. Danilo portava anche il grammofono e i dischi di musica classica. È importante anche nutrire lo spirito, ed è facile se gli si presta attenzione, altrimenti rischia di perdersi ancora prima del corpo. Si digiuna, anche oggi, perché la fame può essere ancora l’arma giusta per tenere leggero lo spirito e pulire le parole. Avrebbe dovuto esserci anche Pio La Torre il Primo Maggio…».

Personalmente non c’ero a Comiso, ricordo soltanto che seguivo con molta attenzione, non solo tramite ciò che leggevo ma anche attraverso il racconto di chi stava partecipando in modo diretto a quel nuovo movimento dei primi anni Ottanta, e così nel mio racconto sulle lotte contadine in Sicilia immagini questa coppia di ragazzi al funerale di Pio La Torre. Immagino lui un trentenne reduce dei movimenti degli anni Settanta, una via di mezzo tra l’ultimo mohicano e don chisciotte, e lei una ragazza ventenne più fresca perchè si sta formando proprio ora: fu coniato il termine ‘generazione Comiso’ per questo nuovo movimento degli anni Ottanta:  « … e di nuovo giù in Sicilia perché i lavori all’aeroporto Magliocco non si fermano. Il 30 aprile però fermano Pio La Torre, e non risparmiano nemmeno Rosario Di Salvo, il suo autista. La mafia ci tiene, sì che ci tiene ai missili, agli appalti, all’aeroporto, a quell’isola che ogni tanto scoppia, ma strategica, in mezzo al Mediterraneo. Strategica per la pace, ecco perché i nuovi movimenti l’hanno scelta…».

Nel racconto i due giovani discutono molto tra loro con punti di vista diversi ma insieme si mettono a ricostruire la vita di quel “funzionario” che all’età di 22 anni aveva guidato i contadini a occupare le terre, e ancora oggi è qui, questa volta a tenere insieme un grande movimento contro i missili: « “Pio La Torre fermato durante le cariche e in galera per violenza?” “Ricordi a ottobre gli idranti? Volevi proteggerlo quel funzionario riformista secondo te abituato solo alle scrivanie!” “Ma lo scarcerarono subito?” “Un anno e mezzo all’Ucciardone…».

In questi giorni Trump e Putin hanno sospeso il trattato nucleare, dichiarandosi entrambi pronti a schierare nuovi missili. Che cosa vogliono farci? Politiche di oggi seguite con indifferenza grazie anche alla cancellazione delle memorie di ieri.

(la foto è tratta dal blog Agorà)

 

L’espulsione dalle terre (ricordando Marx)

“Siamo tutti neri”, foto scattata nel 1989 a Roma alla prima manifestazione contro il razzismo.

Consigli di lettura, o rilettura. Oggi è il duecentesimo anniversario della nascita di Karl Marx, il 5 maggio 1818. La lettura di Marx è complessa e richiede un impegno da affrontare con spirito libero e critico, rifuggendo schematiche adesioni di fede, o al contrario anche repulsioni altrettanto fideistiche. E naturalmente tenendo conto del contesto, includendo nel contesto tante cose (nella mia foto ho ripreso addirittura questo simpatico striscione fotografato molti anni fa).  I miei non sono consigli di lettura di uno studioso o di un esperto, perché non lo sono, tuttavia, da studente di filosofia ebbi a suo tempo l’opportunità di inserire Marx nel mio piano di studi, e di tanto in tanto mi capita di riprendere in mano qualche suo libro. Una delle parti su cui mi capita un po’ più spesso di tornare è la settima sezione del primo libro del Capitale, e in particolare il capitolo 24, “La cosiddetta accumulazione originaria”:

“Il produttore immediato, l’operaio, ha potuto disporre della sua persona soltanto dopo aver cessato di essere legato alla gleba e di essere servo di un’altra persona o infeudato ad essa. Per divenire libero venditore di forza-lavoro, che porta la sua merce ovunque essa trovi un mercato, l’operaio ha dovuto inoltre sottrarsi al dominio delle corporazioni, ai loro ordinamenti sugli apprendisti e sui garzoni e all’impaccio delle loro prescrizioni per il lavoro. Così il movimento storico che trasforma i produttori in operai salariati si presenta, da un lato, come loro liberazione dalla servitù e dalla coercizione corporativa; e per i nostri storiografi borghesi esiste solo questo lato. Ma dall’altro lato questi neo affrancati diventano venditori di se stessi soltanto dopo essere stati spogliati di tutti i loro mezzi di produzione e di tutte le garanzie per la loro esistenza offerte dalle antiche istituzioni feudali. E la storia di questa espropriazione degli operai è scritta negli annali dell’umanità a tratti di sangue e di fuoco.”

Scrive così Marx all’inizio del capitolo, e poi ne descrive il processo storico realmente avvenuto dal XV secolo in Inghilterra, passando dall’espropriazione della popolazione rurale e della sua espulsione dalle terre, alle leggi contro gli espropriati e contro il vagabondaggio – “I vagabondi incorreggibili e pericolosi debbono essere bollati a fuoco con una R sulla spalla sinistra e messi ai lavori forzati” per sottometterli a quella disciplina che era il lavoro salariato, e così via, descrivendone l’evoluzione delle sue forme storiche.

Marx descrive questo processo come avvenne in Inghilterra, perché solo qui, dice,  questa storia  possiede forma classica, mentre negli altri paesi ebbe “sfumature diverse e percorse fasi diverse in successioni diverse e in epoche storiche diverse.”  Poi però aggiunge anche una nota sull’Italia, che riguarda più in particolare l’Italia centrale e settentrionale:

“In Italia dove la produzione capitalistica si sviluppa prima che altrove anche il dissolvimento dei rapporti di servitù della gleba ha luogo prima che altrove. Quivi il servo della gleba viene emancipato prima di essersi assicurato un diritto di usucapione sulla terra. Quindi la sua emancipazione lo trasforma subito in proletario eslege, che per di più trova pronti i nuovi padroni nelle città, tramandate nella maggior parte fin dall’età romana. Quando la rivoluzione del mercato mondiale dopo la fine del secolo XV distrusse la supremazia commerciale dell’Italia settentrionale, sorse un movimento in direzione opposta. Gli operai delle città furono spinti in massa nelle campagne e vi dettero un impulso mai veduto alla piccola coltura, condotta sul tipo dell’orticoltura.”

Se queste brevi citazioni vi stuzzicano, potete leggere anche l’intero capitolo, e da lì allargarvi. Sono pagine descrittive, con un linguaggio che a me non sembra oscuro e complicato, mi sembra che si legga bene, e lo trovo molto ma molto attuale, anche se scritto centocinquanta anni fa.

Solchi di verità e di giustizia (21 marzo)

21 marzo, giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti della mafia, organizzata da Libera. Per le Marche l’appuntamento regionale è in corso oggi a Jesi. Questa mattina si è svolta la prima parte, all’interno del Palasport a causa del maltempo – nei paesi in collina si è vista anche la neve – ma gremito di persone, soprattutto di tanti giovani delle scuole, arrivati qui da tutta la regione.

Al centro delle cerimonie di questa mattina c’è stata la lettura dei nomi delle vittime, quasi un migliaio, così tanti e troppi che diventa addirittura difficile conoscerli tutti, e per ricordarli li abbiamo scanditi e pronunciati uno ad uno, alternandoci in tanti, più di quaranta persone.
Onestamente nemmeno io  conosco le storie legate ai nomi riportati nel foglio che mi era stato assegnato, ma ora ce l’ho qui il foglio mentre cerco di documentarmi sulle loro singole vite.

Tra gli altri nomi che ho sentito leggere,  ce ne sono anche tanti che cito nel mio libro dedicato alle lotte contadine nel dopoguerra. Ad esempio Placido Rizzotto e Pio La Torre, nel racconto dedicato alle occupazioni delle terre nella zona di Corleone, a Bisacquino nella primavera del 1950, quando Pio La Torre andò a sostituire Placido Rizzotto ucciso dalla mafia il 10 marzo 1948 e riprese la guida di quel movimento contadino, e il 10 marzo del 1950 fu poi arrestato durante l’occupazione al feudo di Santa Maria del Bosco. Pio La Torre aveva 23 anni quando andò a Corleone e lì conobbe Carlo Alberto della Chiesa, allora trentenne e capitano, che aveva già individuato i responsabili della sparizione di Rizzotto. Diventarono amici in quel frangente e si tennero sempre in contatto, verranno poi uccisi entrambi a Palermo nel 1982, a distanza di soli 4 mesi uno dall’altro.

Oppure Margherita Clesceri e le altre vittime di Portella della Ginestra, a cui nel libro dedico ugualmente un intero racconto, che in parte ricostruisco anche sulla base di un incontro che ebbi molti anni fa con alcuni superstiti di quella strage.
E poi ancora altri nomi, di sindacalisti e capi lega, che mi trovo a citare nei diversi racconti del libro, come Accursio Miraglia, Nicolò Azoti o Pietro Macchiarella. Infatti le lotte per la giustizia sociale e il rispetto della legalità s’intrecciavano insieme, anzi erano la stessa cosa e spesso i braccianti in lotta attaccavano sulle loro bandiere gli articoli della nuova Costituzione che più li riguardava, ponendosi loro dalla parte della legalità calpestata. Come l’articolo 4 che da il titolo anche ad un libro di Danilo Dolci, ricordando lo sciopero a rovescio che organizzò a Trappeto nel 1956.
Pronunciare tutti i loro nomi e condividere questa lettura significa anche ricordare che non furono vittime passive o rassegnate ma persone che si sono battute apertamente, e proprio per questo il loro sacrificio non è stato inutile.

In uno dei racconti del libro riporto questo dialogo, da quanto ricordo dell’incontro che ebbi appunto anni fa con una coppia di superstiti della strage di Portella:
«“Oggi credono tutti che la mafia sia qualcosa di naturale su questa terra: è la nostra cultura, vengono a dirci.” “Cultura imposta col sangue!” “Arrivammo a Portella verso le nove. Sembrava una festa. Le bandiere, le bande musicali, anche i cavalli e i muli erano bardati. I bambini aspettavano eccitati lo scoppio dei mortaretti. La guerra era finita da poco e la gente era povera. Avevamo raccolto cibo e vino affinché tutti quel giorno potessero mangiare.” “I mafiosi dissero che la festa loro ce l’avrebbero fatta.” “Durante la campagna elettorale il capomafia Salvatore Celeste aveva gridato: ‘Voi mi conoscete! Chi voterà per il Blocco del popolo non avrà né padre né madre’. A gennaio era stato ammazzato Accursio Miraglia e pochi giorni dopo Pietro Macchiarella. Anche al Cantiere navale di Palermo i mafiosi spararono. In Sicilia c’era anche questa storia del movimento indipendentista e alla fine il governo di Roma aveva riconosciuto l’autonomia…” “…ma le prime elezioni la sinistra le vinse.” “Il 20 aprile del ‘47 il Blocco del Popolo vinse le elezioni regionali. Tutto questo era troppo per gli agrari, la reazione fu violenta, come un colpo di stato, uccisioni e intimidazioni, perfino bombe a mano e poi l’eccidio di Portella e subito dopo quello di Partinico, ma le occupazioni andarono avanti…”»

La giornata della memoria

Sabato prossimo, il 27 gennaio, nel pomeriggio siamo di reading concerto con le lotte contadine a Santa Maria Nuova, nella biblioteca del Torrione. Coincide con la giornata della memoria, dedicata all’olocausto, il pozzo più profondo che la memoria ogni anno si trova a dover scavare per non dimenticare chi siamo, l’olocausto che ha avuto in sorte di rappresentare anche tutti gli altri. Ho sempre sentito in modo intenso questa giornata e più di una volta mi sono trovato in questa occasione a parlare invece di qualche mio libro, che comunque era dedicato alla memoria di qualche storia importante.

Nel libro Izbjieglice (scritto insieme a Giacomo Scattolini nel 1999) dedicato alle guerre di ex-Jugoslavia mi capita di citare “Se questo è un uomo” di Primo Levi, perché alcuni dei racconti raccolti mi ricordavano alcuni passi di quel libro, in particolare quando Levi racconta il sogno che lui  e molti altri facevano durante le notti inquiete del lager, e cioè che tornavano a casa e raccontavano ciò che avevano vissuto, ma chi li ascoltava stentava a crederli, così inverosimili erano quei racconti, e così alla fine non gli prestavano nemmeno attenzione.  Certe volte la realtà supera la fantasia, e si stenta a crederla vera. Come il filo spinato della foto che ho inserito qui sopra, che ho scattato diversi anni fa a Dachau, che mi ricorda come la memoria sia anche dura.

Tre anni fa invece presentammo in questa stessa biblioteca del Torrione un’iniziativa dedicata proprio all’olocausto, centrando l’attenzione più sui segni premonitori, sui roghi dei libri, AL ROGO, Profezie & Memoria avevamo intitolato la serata, chiedendoci perché questi segni non vengono mai colti, perché “le Cassandre” di turno non vengono credute. Un po’ come nel sogno di Levi. Anche ora attraversiamo un periodo difficile e di razzismo che inizia a scorazzare troppo indisturbato per tutta l’Europa. Credevamo non tornasse e invece scopriamo che non ci eravamo ancora dotati di anticorpi sufficienti.

Lo scorso anno ci trovammo ai primi di febbraio, con le storie de L’erba dagli zoccoli, alla Biblioteca Pino Pinelli di Argenta per un laboratorio con dei ragazzi di scuola media, sul tema La storia e il presente, per parlare ugualmente di memorie, e ora, questo prossimo 27 gennaio coincide esattamente con il reading concerto dedicato alle lotte contadine. Memorie importanti, e assai dimenticate anche queste, seppure di altro tipo, ma che possono consentirci comunque di riflettere e ricordare le storie che siamo stati, e che saremo ancora.  Altre memorie, sì, ma c’è anche un brevissimo passaggio nel libro, all’interno del racconto “L’aereo che fa la guerra ai contadini” che è dedicato alle occupazioni delle terre d’Arneo, nel quale mi trovo a citare in qualche modo l’olocausto dei campi di sterminio. Le memorie sono come una rete, e da qualsiasi parte inizi il cammino, le ritrovi sempre tutte. Trovai infatti vicino Nardò anche questa storia, che inserisco nei miei racconti contadini in questo modo:

«Alla fine della seconda guerra mondiale, sempre questa gente, a Santa Maria del Bagno frazione di Nardò, accolse i sommersi e i salvati dai campi di sterminio. Arrivarono a migliaia da tutta Europa e qui ripresero a vivere da persone normali, come non avevano più immaginato. In attesa di trasferirsi nella terra promessa, dove le condizioni di vita erano assai migliori di quelle di qui. Ma quelli di qui fecero ugualmente del loro meglio per accoglierli e così si stabilì un legame che permane ancora oggi, come m’hanno raccontato al Museo della Memoria e dell’Accoglienza.»

Il mondo è vicino da Chicago a qui (il 12 dicembre)

Associazioni, non di pensieri casuali ma di date, lotte e ricorrenze, che si intrecciano anche con il lavoro di memorie che ho dedicato alle lotte contadine: i martiri di Chicago e le lotte per le otto ore, Giuseppe Pinelli e il 12 dicembre, l’Antologia di Spoon River e la poesia di Rocco Scotellaro, Giuseppe Novello e le lotte contadine in Basilicata.
“Il mondo è vicino da Chicago a qui”, recita un verso della poesia che Rocco Scotellaro dedica al bracciante Giuseppe Novello, citata nel libro “L’erba dagli zoccoli” e inserita da me e Silvano Staffolani anche nella canzone Scagliosa, presente nel reading concerto tratto dal libro.
Non ho mai trovato una conferma di questo riferimento di Scotellaro a Chicago, a che cosa di preciso volesse riferirsi. Di sicuro mi è sfuggito. Nelle analisi dei suoi testi e anche di questa poesia sono altri gli elementi semantici che i commentatori di solito mettono in evidenza, e che tracciano un percorso – o un cammino, è il caso di dire – complesso e coerente della visione non solo poetica di Scotellaro ma del suo stesso approccio alla vita e all’impegno, innanzitutto culturale, nel senso diretto della comprensione e partecipazione.
Così, in assenza di conferme al riferimento che Scotellaro fa a Chicago in questa poesia, io ho sempre dato per scontato, fin dalla prima lettura, che volesse ricordare i martiri di Chicago, gli anarchici impiccati l’11 novembre 1887; e poi due anni dopo, nel suo congresso fondativo, la Seconda Internazionale deliberò il Primo Maggio ricorrenza annuale da dedicare alle lotte dei lavoratori, proprio perché gli scioperi e le manifestazioni di Chicago per l’applicazione dell’orario di lavoro di 8 ore, avevano avuto inizio il primo maggio.

Un momento fondativo, dunque. Quando lessi questa poesia, dando per scontato questo significato, fui colpito anche da una coincidenza di date, che rende ancora più vicini questi avvenimenti.
La poesia di Scotellaro è dedicata a Giuseppe Novello, che fu ferito a morte il 14 dicembre e poi morì dopo tre giorni di dura agonia il 17 dicembre. Era il 1949. Rocco Scotellaro incontrò i contadini di Montescaglioso direttamente nel carcere di Matera, quando tra febbraio e marzo del ’50 venne incarcerato con un’accusa falsa, e poi prosciolto e liberato dopo 45 giorni, mentre era in corso in tutta Italia uno sciopero generale di 48 ore per l’eccidio di Lentella del 21 marzo, e un altro se ne sarebbe consumato il 23 a San Severo di Foggia. Il carcere di Scotellaro durò poco ma lui in quel periodo era anche Sindaco, e l’esperienza della cattiveria mostrata dal lato oscuro del paese lasciò il segno. Quando scrisse la poesia non poteva sapere che lui stesso sarebbe venuto a mancare da lì a poco, nel 1953, all’età di 30 anni, e il giorno sarà il 15 dicembre, negli stessi giorni del quarto anniversario dell’agonia di Giuseppe Novello.

Oggi, mentre scrivo, è il 12 dicembre, e questa sera ho partecipato alla manifestazione “FIORI CONTRO IL FASCISMO”, per deporre fiori sotto lapide che gli anarchici di Jesi anni fa – era il 1994 – chiesero all’Amministrazione allora in carica di esporre nell’atrio del palazzo comunale, e che recita così: “Ai morti di Piazza Fontana, al ferroviere G. Pinelli, a tutti i morti di 25 anni di stragi impunite, in loro onore il nostro impegno passato, presente e futuro, nelle lotte per l’uguaglianza, la libertà e la giustizia sociale, la città di Jesi.”
La cerimonia è stata introdotta con un ricordo rivolto in particolare a Giuseppe Pinelli, con Andrea Accoroni che ha cantato, o guidato i numerosi partecipanti a cantare coralmente “La ballata di Pinelli”. Poco più tardi io ho recitato la poesia Carl Hamblin dall’Antologia di Spoon River, che la moglie di Pino, Licia, ha fatto incidere sulla lapide che ricopre la tomba di Pino al cimitero di Turigliano (Carrara).
Carl Hamblin era una poesia cara a Pino Pinelli, e inizia proprio ricordando “il giorno che gli anarchici furono impiccati a Chicago”. Per una triste ironia del destino, che non è un destino fatale ma guidato sempre da qualche mano umana, Pino Pinelli morì poco dopo la mezzanotte del 15 dicembre.

Ecco dunque i martiri di Chicago che ritornano, e le date e le ricorrenze che si sovrappongono, come una sorta di congiunzione planetaria delle ricorrenze. Tutti insieme, negli stessi giorni. E il 1969 di Pinelli non fu solo l’anno delle stragi – quella più terribile, di piazza Fontana, era stata preceduta da altri attentati – o dell’autunno caldo nelle principali fabbriche, ma fu un’ondata di lotte diffuse in tutta Italia, che le stragi volevano fermare ma non vi riuscirono, un’ondata di lotte che come sempre si diffondeva anche nelle periferie e nelle campagne; tra gli episodi che meritano d’essere ricordati di quell’anno c’è ad esempio la rivolta di Battipaglia, nel mese di aprile, ma già il 2 dicembre dell’anno prima c’era stato Avola, le lotte contadine che durano. Solo per citare alcuni esempi.