La serata alla Biblioteca del Torrione

Tra le memorie nel giorno della memoria, il 27 gennaio, con l’Officina della Partecipazione. Una serata accogliente alla Biblioteca del Torrione, un luogo di sentimento, piacevole e importante. La biblioteca è ricavata in un torrione del Quattrocento, uno dei quattro che racchiudeva e custodiva allora il paese, negli anni in cui era tutt’uno con il contado di Jesi, e per questo nel 1472 arrivò da queste parti Federico Conti, ricordato come il tipografo che introdusse l’arte della stampa nella regione. Perché stampare era un’arte. E dunque oggi c’è un’emozione in più nel ritrovarsi qui.

Un appuntamento, con le lotte contadine in reading concerto, ancora più importante qui, circondati da terre dove la condizione prevalente, in campagna, fino agli anni della sua abolizione, è stata la mezzadria. Che non era solo un contratto di lavoro ma un sistema sociale e una condizione di vita, ed è nascosta ancora oggi dentro i nostri tratti antropologici. Così, il primo brano che ho letto (dal racconto “Il curandero”) e la prima canzone eseguita da Silvano e da Lorenzo (“San Martino”), sono stati appunto dedicati alla figura del mezzadro, così come il titolo del cd è ironicamente “Mezzadro, mezzo ladro, contadino”.

Prima però avevamo ricordato altre cose molto importanti. L’aveva già fatto Angelo Santicchia, per  l’Officina della Partecipazione (l’associazione che ha organizzato la serata, nell’ambito della Rassegna Officina della lettura), introducendo la serata, perché oggi era il 27 gennaio, il giorno dedicato alla memoria delle memorie, la Shoah, quel buco nero dove è bene tornare a immergersi ogni anno, per cercare di ritrovare noi stessi e non perderci di nuovo.
Ho ricordato già su questo blog, qualche giorno fa, che durante un viaggio in Salento per documentarmi su un racconto poi inserito nel libro, avevo scoperto a Santa Maria al Bagno vicino Nardò la storia dell’accoglienza degli ebrei sopravvissuti all’olocausto e raccolti lí, alla fine della seconda guerra mondiale, anche per periodi non brevi, prima di riuscire a raggiungere la Palestina o altre destinazioni.
Accolti e aiutati, non respinti dalla popolazione locale, spesso anche più povera di loro, e molti di quei braccianti parteciparono anche alle lotte di quegli anni e alle occupazioni delle terre d’Arneo di qualche anno dopo, che racconto nel libro.

Non era scontata l’accoglienza degli ebrei. Era accaduto già prima della guerra, nel 1938 che la nave St Louis carica di fuggitivi, e fuggivano per tempo prima del genocidio, era stata respinta a Cuba, negli Stati Uniti e in Canada ed era dovuta rientrare in Europa, come pure ci fu nel 1938 la conferenza di Evian nella quale i paesi europei, e non solo loro, posero la questione delle quote e altre limitazioni, e così gli ebrei che fuggivano – e si calcola che nel 1938 fossero già centocinquanta mila quelli fuggiti dalla Germania – spesso venivano respinti e riportati indietro nei territori controllati dai nazisti, e comunque certamente venivano scoraggiati gli altri a fuggire in tempo.
Sarà per questo che in questi giorni un gruppo di scrittori e rabbini israeliani ha lanciato un appello contro la decisone del proprio governo di espellere e ricacciare indietro i migranti fuggiti nel loro paese? Sì, il motivo è proprio questo, lo hanno scritto loro: “Nascondiamo rifugiati in casa come Anna Frank”.
Aiutali a casa loro, ripetono fino all’ossessione i razzisti odierni di casa nostra, novelli apprendisti stregoni chissà quanto consapevoli davvero di ciò che dicono, nei confronti di chi fugge dalle guerre o dalla fame. Ma non voglio ripetere, con uno sterile pessimismo che può solo sollevarci dalle responsabilità, che la Storia si ripete, preferisco pensare che siamo noi che dovremmo conoscerla meglio.

Quindi c’erano queste assonanze, ieri e questi giorni nella mia testa, mentre preparavo la serata. E così ieri l’abbiamo ricordato, e poi collegato a questo tema la stessa canzone di apertura, che è stata Sogni alla deriva, dedicata ai migranti di ieri e di oggi, i nostri contadini espulsi a milioni dalle campagne e costretti a sparpagliarsi per il mondo, che ho incontrato in tutti i racconti del libro, e anche i migranti di oggi, che ugualmente ho incontrato, sugli stessi luoghi delle lotte di ieri, come i braccianti africani che organizzarono un importante sciopero a Nardò nel 2011, dal quale nacque l’attuale legge contro il caporalato. Dietro ogni legge c’é sempre una lotta.
Questo lo spirito nell’affrontare la serata, poi le letture e le altre canzoni, ricordando, nell’ordine, i mezzadri, Lentella e gli scioperi a rovescio, il grande sciopero dei braccianti e Maria Margotti di Filo d’Argenta, le occupazioni dei latifondi del sud, a Melissa, Bisacquino e Montescaglioso, per concludere con un’altra grande azione collettiva di solidarietà, quella dei treni della felicità, dell’accoglienza dei bambini con i genitori in galera per la repressione delle loro lotte, ospitati da altre famiglie contadine delle regioni del centro e del nord: Corre il treno.

(altre foto della serata)

L’intensità della leggerezza (la serata alla Biblioteca La Fornace)

Ieri giovedì 13 luglio eravamo alla Biblioteca La Fornace, un luogo di lavoro diventato un riferimento di cultura. Già il reading della sera prima ai giardini di Palazzo Mordini di  Castelfidardo mi aveva stuzzicato una riflessione sulla “cultura e il territorio” e sui “luoghi e non luoghi” di Marc Augé, e anche qui il luogo c’è, con la sua storia e il suo presente.

Prima di iniziare, e dopo aver già curiosato al piano superiore nella parte della biblioteca vera e propria, dove si tengono anche le serate e gli incontri di lettura o di musica, abbiamo visitato la parte sotterranea, dove era il cuore della fornace, il lungo corridoio ovale di circa 80 metri, un anello attorno al forno in cui venivano cotti i mattoni a 800 o 900 gradi di temperatura (e dove oggi vengono esposte mostre). Da lì si innalza il camino che svetta verso il cielo ed è visibile da lontano per chi cerca la biblioteca, come un tempo era visibile a chi nelle campagne attorno o nel paese poco più in là, in quel forno ci andava a lavorare, e non era certo una passeggiata. C’erano molte fornaci nel nostro territorio a quel tempo, anche di altre sono visibili, ristrutturati, i resti delle ciminiere sopravvissute al tempo, questa qui però è una delle poche ristrutturata interamente, e poi dedicata ai libri e a tante e diverse iniziative culturali e sociali a cui partecipano diverse associazioni.

Chi entra qui si sente a proprio agio fin dalla prima volta, e avverte d’essere entrato come in una specie di ventre, un accogliente e ampio contenitore che ti avvolge in un’atmosfera intensa e leggera, ti fa avvertire la leggerezza dei libri. Nulla di veramente antico, e di affascinante per altri versi come si può respirare nelle biblioteche ospitate in palazzi che risalgono ai secoli passati; qui siamo in un’epoca molto più vicina a noi, che risale quasi a ieri, a un mondo di cui ancora possiamo avvertire l’eco e il ricordo diretto. La Fornace è un pezzo del nostro Novecento, era nel pieno della sua attività quando vivevano, subito dopo la guerra, le storie che racconto nel mio libro, e certamente molte delle persone che qui hanno lavorato, appena uscivano andavano ad aiutare il resto della famiglia nelle fatiche dei campi. La Fornace ha cessato le attività solo negli anni Settanta, e quindi sono molti nel paese quelli che ne hanno un ricordo vivo. Poi, dopo un periodo di abbandono e degrado, fortunatamente è stato possibile recuperarla e restituirla alla comunità.

È sempre un piacere trovarsi qui. La data scelta per il reading forse si è rivelata non proprio adatta, non eravamo in molti ma l’attenzione e la partecipazione dei presenti è stata ugualmente e come sempre lo stimolo che ci ha accompagnato durante la lettura dei brani e  le canzoni, tra le quali c’era anche quella dedicata a Maria Margotti, anche lei nel suo paese, Filo d’Argenta, ad alternarsi in quegli stessi anni tra il lavoro saltuario nei campi o nelle risaie all’altro in una fornace di mattoni: la sua mansione era di trasportare mattoni avanti e indietro con una carriola, tutto il giorno.

Letture e canzoni, nel nostro reading, che parlano di fatiche, e dunque in che modo raccontarle? È stato questo uno dei temi sui quali poi abbiamo chiacchierato, a lungo e insieme: come è nato il linguaggio usato nella narrazione, come sono nate le canzoni, la musica e le parole che vogliono ridare vita a queste storie? Certe volte, fuori dal contesto del reading concerto, lontano quindi dalle letture e dalle canzoni e parlandone soltanto, avverto un po’ di difficoltà nello spiegarlo e in chi mi ascolta come un piccolo distacco, uno scarto, come se far riaffiorare queste storie possa significare un insistere su tristezze e malinconie che si vogliono evitare nel modo di fruire oggi la cultura – “la cultura è diventata un’arma di distrazione di massa” diceva Goffredo Fofi in un’intervista di qualche tempo fa – oppure potrebbe essere scambiato per un rassegnato piangersi addosso. Secondo me sarebbe una definitiva emarginazione il piangersi addosso. Sono stato sempre convinto che ci voglia la giusta leggerezza e anche ironia per valorizzare il patrimonio di esperienze di chi ci ha preceduto, delle fatiche e delle difficoltà, come Sisifo condannato a spingere il suo masso in montagna ma in quello spingere è capace di metterci dentro tutto il senso di cui c’è bisogno, ed è quello che dobbiamo raccogliere, e allora la leggerezza mi appare come la dimensione più adeguata per sottolinearne con rispetto il valore. Ieri sera, nel parlarne, mi sono appoggiato a Carlo Levi e a Rocco Scotellaro, molto presenti nei racconti del libro.

(La serata è stata promossa con la collaborazione di Anpi Mediavallesina, Arci Jesi Fabriano e Libera Jesi. Grazie per le foto a Anahita H. Dowlatabadi)

 

 

The grass by the hooves & Eterotopie

Due serate consecutive di reading concerto con L’erba dagli zoccoli (The grass by the hooves in reading concerto, abbiamo trovato tradotto in inglese in un articolo), in compagnia di Silvano Staffolani, lo scorso fine settimana, in due luoghi assai diversi tra loro, entrambi dalle nostre parti. Venerdì 31 alla Biblioteca Comunale di Agugliano, ed è piacevole ogni tanto ritrovarsi a girare per biblioteche, questi luoghi di incontro importanti per le identità e le memorie delle nostre comunità.

Sabato 1 aprile invece all’interno del festival della libreria Sabot alla spazio sociale TNT di Jesi. Eterotopie il titolo suggestivo del festival, un termine ripreso dal filosofo Foucault che sta a indicare spazi connessi, luoghi aperti su altri luoghi. Per un libro come L’erba dagli zoccoli, che tratta di memorie e che nella ricostruzione delle storie narrate ha privilegiato soprattutto i punti di interconnessione tra vicende accadute in regioni italiane assai diverse tra loro, la cornice di Eterotopia mi fa meglio comprendere come le dimensioni temporali della memoria si intreccino sempre con le dimensioni spaziali delle nostre connessioni presenti; ad esempio, ritrovo questa citazione di Foucault (a puro titolo di esempio): «viviamo in un momento in cui il mondo si sperimenta, credo, più che come un grande percorso che si sviluppa nel tempo, come un reticolo che incrocia dei punti e che intreccia la sua matassa».

Qualche giorno fa abbiamo caricato su YouTube la nostra canzone “Il rogo delle biciclette” dedicata alle due occupazioni  nel ’50 e nel ’51 delle terre di Arneo, feudo di Nardò, e vi abbiamo caricato a commento le fotografie di questi giorni dei manifestanti No Tap che a mani nude cercano di opporsi allo sradicamento degli olivi secolari, tolti di mezzo per far passare un gasdotto assai discutibile, qualche chilometro più in là dell’Arneo, tra Melendugno e Santa Foca. Nel presentare la canzone e le foto abbiamo scritto: le lotte di ieri per  ricordare quelle di oggi.

In tutte e due le serate, ad Agugliano e a Jesi, tra i brani letti abbiamo anche inserito questo dell’Arneo, accompagnato dalla sua canzone, e abbiamo ricordato ogni volta questo legame tra le memorie di ieri (la dimensione temporale) e le lotte di oggi (le nostre connessioni spaziali presenti). E insieme a questo le altre letture e le altre canzoni per ricordare le lotte contadine nelle Marche, nella pianura padana, in Basilicata, in Calabria, in tutte le regioni.

(La foto in alto è della serata ad Agugliano, le altre dal festival Eterotopie)

 

 

 

 

 

Videro la madre andar via in bicicletta

16427388_1417614618262843_8224844948806558368_nUn incontro molto piacevole quello di lunedì 6 febbraio con le ragazze e i ragazzi di una seconda e una terza media dell’Istituto Comprensivo 1 di Argenta, organizzato dalla scuola insieme alla Biblioteca sezione di Storia contemporanea “Giuseppe Pinelli”, con la collaborazione di Arci Ferrara.  Già un’emozione grande, ancora prima di iniziare, trovare una biblioteca intestata a Pino Pinelli.
Il tema della giornata era “La nascita della Repubblica: difesa dei diritti rispetto della Costituzione”, nell’ambito del ciclo di incontri “La storia e il presente”. Uno stimolo per parlare dei diritti non solo come principi scritti sulla carta ma anche attraverso le lotte e la partecipazione collettiva e solidale necessari a rendere possibile il risultato di scrivere i principi sulla Carta e poi anche di applicarli davvero, per renderli reali nella vita di ogni giorno. E qui, ad Argenta, il racconto di queste lotte non poteva che svilupparsi partendo dalla storia di Maria Margotti, di cui diversi ragazzi – soprattutto della zona di Filo, la frazione dove Maria Margotti visse – avevano già sentito raccontare.
Per noi è stata dunque l’occasione per un incontro diverso dai nostri reading concerto sulle lotte contadine del dopoguerra, l’occasione non solo di parlarne, questa volta, con dei ragazzi ma anche di ricondividere con loro quella storia; così li abbiamo invitati a leggere insieme brani del racconto inserito nel libro, e poi anche a dividersi in piccoli gruppi e scrivere ciascuno una strofa di una canzone su un particolare momento di quella storia che ci fa riflettere anche oggi. La storia e il presente. E infatti abbiamo anche concluso l’incontro con una riflessione, dialogando insieme attraverso lo stimolo di alcune loro domande.  Subito prima però Silvano aveva rimesso in musica – riadattando qua e là appena qualche parola e nella fretta di rendere più omogeneo il tutto – la canzone da loro composta, suonandola e cantandola accompagnato dal loro ritmo, con un tamburo e battendo le mani. Inserendovi lo stesso ritornello della nostra canzone Su alzati Maria, che insieme alle altre compone il cd di canzoni da L’erba dagli zoccoli.

Il tutto in poco più di un’ora. Un tempo record, da gioco. Un piccolo esempio di come si possono affrontare le memorie e le questioni serie anche giocando, attraverso la riscrittura e il racconto, la lettura collettiva e poi la canzone, scegliendo in prima persona e con impegno le parole che possono essere più adatte, per una condivisione più piena. Ringraziamo i ragazzi della scuola e gli organizzatori per questa bella opportunità.

(la foto utilizzata come illustrazione della canzone non è di quella mattina del 17 maggio ’49 sulla strada per Molinella; è tratta invece da una articolo su uno sciopero delle mondine in Emilia Romagna, sempre in quegli anni).

Maria Margotti (in versione live)
parole dei ragazzi dell’Istituto Comprensivo 1 di Argenta (6 febbraio 2017)

Videro la madre andar via in bicicletta
La videro tornare dalle amiche sorretta
Videro le donne i fiori portare
Dove lei smise di respirare
Maria che agonia la morte ti ha portata via
Bella cosa che facciamo noi
Per la cosa che facciamo
Tu sei morta per lo sparo
Piansero in molti come i fiori
I fiori i fiori i fiori colti
Nessuno volle credere che tu
Tu saresti tornata cenere
Le donne del collettivo, quando passano loro
Sembra che passi la campagna intera
Del fieno e della terra senti l’odore
È il respiro di questo sole che le bagna
Nel Quarantanove maggio
Tutti parteciparono ad un viaggio
Tutti a camminare lungo il viale
Per andare al funerale
Fu un giorno molto triste
Accorsero tutti popolazioni miste
Tanti fiori per Maria
Che in silenzio andò via
Biciclette straziate di donne scioperanti
Vennero vennero schiacciate
da camion devastanti
Le donne spaventate corsero via in compagnia
Maria quanto eri bella caduta
Caduta tu eri caduta a terra
Un mattino di maggio al ponte di Molinella
In bicicletta in tutta fretta per la stradetta
Sul cartello hanno scritto
vogliamo terra e lavoro
Hanno incontrato….
Hanno incontrato noi a cantare con loro
Le donne del collettivo, quando passano loro
Sembra che passi la campagna intera
Del fieno e della terra senti l’odore
È il respiro di questo sole che le bagna
Su alzati Maria torniamo a casa
Maria resta lì abbracciata alla sua terra

https://soundcloud.com/silvano-staffolani/su-alzati-maria-dal-vivo-06-febbraio-2017

Andare per biblioteche

locL’erba dagli zoccoli alla Sala Maggiore della Biblioteca Planettiana.
La prima presentazione del libro avevo avuto occasione di tenerla un mese fa in un’altra biblioteca, quella del Comune di Lentella, in occasione dell’anniversario della morte di Cosmo Mangiocco e Nicola Mattia, avvenuta durante lo sciopero a rovescio del 21 marzo 1950. Una biblioteca ben diversa e di costruzione più recente, realizzata quasi apposta (fu questa la sensazione che provai entrando nella sala già piena di gente del paese venuta lì a condividere la serata) per raccogliere in un luogo comune un’identità, fragile e forte al tempo stesso, già formata e presente ma da continuare a conoscere e far vivere ancora.
La biblioteca di Lentella fu voluta e realizzata, con i mezzi di cui si riusciva a disporre, da Pierino Sciascia, che fu sindaco di quel piccolo paese sulle colline dietro Vasto e San Salvo, dal 1978 al 1997. Un personaggio quasi leggendario e molto amato dai paesani, che si era guadagnato l’affettuoso soprannome di Zar, di cui lui stesso andava orgoglioso. Un figlio del popolo, da giovane aveva conosciuto l’emigrazione e il lavoro delle braccia, cioè la fatica. Era stato muratore,  e sapendolo io muratore il gioco è troppo facile, me lo immagino letteralmente mentre allinea i mattoni uno sull’altro e che già allinea nella sua mente anche i muri della biblioteca. Da amministratore, i mattoni con cui ha dovuto misurarsi, sono stati naturalmente di ben altro tipo. Pierino, poco più che ventenne, era stato segretario della Camera del lavoro di Lentella, proprio in quel 21 marzo dell’eccidio, e molti anni dopo, nel 2009, il caso, un caso che forse non viene mai così ma gli piace giocarci dei tiri, pose fine alla sua vita proprio in quegli stessi giorni di marzo, raddoppiando così il senso di quell’anniversario. Una biblioteca di popolo, dunque, che nella semplicità della sua struttura può già vantarsi di raccogliere tanti importanti significati identitari.
planettiana-5Non avrei mai immaginato di incontrare un giorno l’occasione di introdurre attraverso questa via così particolare, la Biblioteca Planettiana di Jesi, che già di per sé e insieme al Palazzo della Signoria che la ospita, costituisce uno dei caratteri forti dell’identità della mia città. Altre storie e altri mezzi, in apparenza non confrontabili in nessun modo, ma se non ci limitiamo agli sguardi sbrigativi un filo conduttore lo troviamo, perché poi quando parliamo di culture e di identità, sono le persone, le storie, le vite che si vivono, la pazienza e la passione di chi ci lavora e l’uso che ne fa la comunità, di questi luoghi, ad arricchirne il significato. E su questo non esiste mai nulla di scontato o di raggiunto una volta per tutte, di statico, è invece una sfida continua che si rinnova ogni giorno, in ogni luogo.
Mi vengono così in mente alcune cose della conversazione di ieri sera, prendendo spunto proprio dalle vicende del dopoguerra di cui parlavamo, della consapevolezza che può venirci dalla cultura soprattutto quando è condivisa – che cultura sarebbe, altrimenti?  Ricordavo ieri sera un passo di Rossa terra mia, di Vincenza Castria e Ciro Candido, che cito anche nel mio libro: “… Si ritrovavano ogni sera, giovani e anziani, nel sindacato parlando del passato e del presente, su quanto vi era da fare riguardo ai loro problemi. Chi sapeva leggere, leggeva i giornali e tutti si informavano di quanto accadeva fra i lavoratori di tutta Italia e su come cominciare a muoversi per chiedere e ottenere i loro diritti e l’attuazione della carta costituzionale, ottenuta con la formazione del nuovo governo.” Oppure, di quando Rocco Scotellaro racconta, del suo breve ma triste periodo in prigione, la lettura serale ai suoi compagni di cella di Cristo si è fermato a Eboli, di Carlo Levi: “… cominciava il libro.  A che vale leggere per noi, ve lo dice questo libro, che spiega pure quando e come e perché uno scrive, io dissi. Io ho avuto la fortuna di conoscere l’uomo che l’ha scritto. Ha scritto questo che è il più appassionato e crudo memoriale dei nostri paesi. Ci sono parole e fatti da fare schiattare le molli pance dei signori nel sonno, meccanicamente. Per la forza della verità.”
In un periodo come quello attuale, di estrema difficoltà per i libri  e di iniziative che tentano di incoraggiare la lettura, tutte le biblioteche diventano centrali.
Si accennava anche, nella discussione di ieri sera, al ruolo che hanno avuto le biblioteche, soprattutto le biblioteche circolanti, e di paese, dove l’accesso era facilitato e incoraggiato, nel promuovere la cultura e il senso di identità. Mi viene in mente, negli anni successivi all’unità d’Italia, il movimento delle biblioteche popolari, definite da Ettore Fabietti “la vera scuola dell’uomo del popolo”.
Forse mi sto caricando troppo? Può darsi, ci sono spunti, nella chiacchierata di ieri sera stimolata dalla lettura di brani del mio libro, che mi stuzzicano verso nuovi percorsi.
20160422_184659 - Version 3Per chiudere, aggiungo soltanto che esserci ritrovati in biblioteca, protetti da quei muri, mi ha offerto una sensazione piacevole, di ritrovo, la stessa che proviamo nel circolo di lettura quando mensilmente ci si incontra nell’altra sala a piano terra della Biblioteca, di recente ristrutturata e aperta direttamente sulla strada, la Salara. Anche ieri, alla sala Maggiore, avevo questa sensazione, di ritrovo in uno spazio che pur nel suo illustre arredo di altre stagioni, sotto al soffitto cinquecentesco e tra gli alti e preziosi scaffali settecenteschi, offre un senso di accogliente protezione. Provavo questa sensazione quando in piedi al centro della sala ho iniziato a leggere alcuni brani da tre diversi racconti del libro – Il curandero, Prendete quella canagliaPurtelja së Jinestrës – che avevo scelto per trasmettere un senso di unità e di legame: i mezzadri delle regioni del Centro, i braccianti della grande pianura padana e i contadini senza terra della Sicilia. Ma il vero filo conduttore che avevo individuato nei tre brani letti è proprio l’atto del raccontare e trasmettere storie. In tutti e tre i racconti c’è sempre qualcuno che racconta ad altri le sue storie sulle lotte dei contadini in quegli anni e in quei mesi, gli stessi mesi dello sciopero a rovescio di Lentella.
Si chiudeva così l’ultimo dei tre brani che ho letto ieri sera: “… i ricordi di sempre stratificati in un terreno da dissodare ancora, ogni volta che qualcuno si azzarda ancora a raccontare, appena s’accorge che qualche altro sta provando ad ascoltare.”


(L’incontro alla Biblioteca Planettiana è stato organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Jesi)

Il fazzoletto annodato

Domenica 20 marzo 2016, la serata per ricordare l’eccidio di Lentella (21 marzo 1950).
È un fazzoletto annodato, lo stesso che portavano al collo i contadini di Lentella 66 anni fa, quello che
123456sarà rappresentato nella scultura di Ettore Altieri, che sarà collocata nella rotonda dello svincolo per la Statale Trignina, per rendere omaggio a chi allora costruì quella strada organizzando uno sciopero a rovescio, sfidando i divieti e la repressione. Il progetto è stato presentato dall’artista, subito prima della presentazione del mio libro L’erba dagli zoccoli, il cui primo racconto è dedicato ai fatti di Lentella.

Un fazzoletto annodato che per una singolare coincidenza ritrovo anche nell’immagine di Ezio Bartocci, da cui è tratta la copertina del libro , che ho avuto la possibilità di condividere con la gente di Lentella, nei locali della Biblioteca comunale. Tra loro parenti delle vittime di allora – Cosmo Mangiocco e Nicola Mattia – e tanti testimoni diretti e indiretti, che ogni anno si ritrovano in questa data per rinnovare la propria memoria collettiva e rendere omaggio a chi allora si è battuto per una vita migliore.

L’iniziativa è stata organizzata dal Comune di Lentella e introdotta dal Sindaco Carlo Moro, a cui sono seguiti gli interventi di Gianni Cordisco (assessore), Alessio Bevilacqua (capogruppo) e Giampiera Bardeglinu (segretaria Pd), e le relazioni storiche di Orazio di Stefano e Antonino Dolce; la cronaca della serata potete leggerla sul giornale web Zona Locale, in un articolo sempre di Antonino Dolce.

È stata una serata davvero emozionante e sono contento di aver iniziato proprio da qui il giro di presentazioni del libro, proprio perché è qui che il libro è nato oltre due anni fa, quando ho avuto l’occasione di conoscere questa storia che poi mi ha aiutato e guidato a ritrovare anche le altre, che danno vita agli altri racconti.

Tra le altre piacevoli emozioni e curiosità della serata, la carta dei tratturi che era appesa nella parete alle nostre spalle – si può vederla nelle fotografie -, e  poi la musica che mi ha accompagnato durante la lettura dei brani che avevo scelto. “Scegli tu un pezzo che ti sembra adatto” avevo detto a Doriano Cerino, conosciuto lì sul momento e che avrebbe dovuto accompagnarmi in sottofondo con la fisarmonica, e lui tutto tranquillo, senza farlo apposta, appena ho iniziato a leggere è partito con le note di Brigante se more. Il titolo del libro è estratto proprio dal monologo di Carmine Donatelli Crocco dello spettacolo La storia bandita: “Calpestati come l’erba dagli zoccoli dei cavalli, calpestati, ci vendicammo.”

Ringrazio infine Gabriella Santavenere, che mi ha offerto il suo aiuto prezioso durante la lettura; nel racconto ho inserito alcune frasi in dialetto vastese e per me sarebbe stato da incosciente provarci: è già abbastanza impegnativo tentare di leggere bene in italiano! E così lo ha fatto lei, ma identificandosi con il personaggio a cui il racconto si ispira, lo ha fatto giustamente a modo suo, cioè leggendoli in lentellese, che naturalmente ha la sua specificità, a ribadire la ricchezza linguistica del nostro paese.

Nelle foto della serata, che ho qui inserito, c’è anche la stretta di mano con Anna Battista, testimone di allora ma anche negli anni, sempre presente, e che avevo avuto occasione di conoscere durante la mia precedente visita a Lentella.

Per chi si trova nella zona di Vasto, alcune copie del libro sono disponibili presso la Bottega Equosolidale Mondo Alegre.

(vedi QUI il video della giornata)

(la canzone dedicata a Lentella)